lunedì 16 marzo 2009

I film del sequestro di Aldo Moro: "Il caso Moro", "Piazza delle Cinque Lune" e "Buongiorno, notte".

A Roma, in via Fani, La mattina del 16 marzo 1978 un commando delle brigate rosse assale la scorta dell’onorevole Aldo Moro, uccide cinque uomini e porta via il presidente della Democrazia Cristiana. La prigionia dura 55 giorni, durante i quali le Brigate Rosse comunicano con l’esterno attraverso dei comunicati fatti trovare dai giornali e informano dello svolgimento di un processo popolare che vede come imputato Aldo Moro, che verrà condannato a morte. Viene infatti ucciso il 9 maggio e fatto trovare nel portabagagli di una Renault rossa in via Caetani, una traversa di via delle Botteghe Oscure a pochi passi dall’Altare della Patria. 

Molti misteri avvolgono la vicenda. C’è tutta una letteratura che affronta gli incredibili lati oscuri del sequestro Moro. Il titolo di un documentari è incredibilmente esplicativo: “La notte della Repubblica". Anche il cinema si è occupato a più riprese del sequestro Moro, a partire già dal 1986 con Il caso Moro di Giuseppe Ferrara, per arrivare al 2003 con Piazza delle Cinque Lune di Renzo Martinelli e il bellissimo Buongiorno Notte di Marco Bellocchio. Vediamo di spendere qualche parola per ognuno di questi film.


Il caso Moro (1986) di Giuseppe Ferrara.

Al centro di questo film c’è sicuramente la grandiosa interpretazione di Gian Maria Volontè che letteralmente lo fa decollare con la sua presenza durante i dialoghi con i suoi carcerieri. Si tratta di un’interpretazione davvero meravigliosa che aumenta di molto la qualità di un film schematico e dai tratti documentaristici. Si tratta infatti di una puntuale ricostruzione dei 55 giorni del sequestro, molto utile per conoscere i momenti fondamentali di tutta la vicenda. Non ci sono momenti particolarmente “artistici”, se così si può dire. E’ un film austero di un cinema sociale il cui unico scopo è quello di informare, con punte però di grande qualità nelle scene in cui compare Volontè.

Scheda del film.

Gian Maria Volontè/Aldo Moro.

 

Piazza delle Cinque Lune (2003) di Renzo Martinelli.

Dei tre film proposti è quello che personalmente ho visto con minor piacere. Girato in perfetto stile spy story va alla ricerca delle tesi che più di tutte vanno ad infoltire le teorie dietrologiche, ossia tutte le osservazioni e riflessioni che rendono più spessa la linea d’ombra che grava su tutta la vicenda.

Il film parte da un’ipotesi fantastica: un misterioso individuo (non posso dire di chi si tratta)   fa pervenire presso un magistrato sulla soglia della pensione (Donald Sutherland)  un documento straordinario: si tratta di un filmato in formato super-8 che mostra proprio il momento dell’assalto e del sequestro dell’onorevole Aldo Moro. Parte così l’ultima inchiesta del magistrato che la prende come la missione che serve a dare un senso a tutta la sua carriera.

Il film è forse quello di più facile visione proprio per il suo stile “giallo” e per il fatto di basarsi interamente sui misteri del caso Moro. Mi raccomando quindi di non prendere tutte le cose dette in Piazza delle Cinque Lune come verità assolute, anche perche nemmeno la storia ha fatto chiarezza in questa incredibile tragedia della nostra prima repubblica.

Scheda del film.

La fantomatica ricostruzione del sequestro.

 

Buongiorno, notte (2003) di Marco Bellocchio

Il titolo di questo film riecheggia inevitabilmente dai versi di Emily Dickinson, anche se Bellocchio ha dichiarato esserne venuto a conoscenza in seguito:

Buongiorno, mezzanotte.
Torno a casa.
Il giorno si è stancato di me:
come potevo io – di lui?

Era bella la luce del sole.
Stavo bene sotto i suoi raggi.
Ma il mattino non mi ha voluta più,
e così, buonanotte, giorno!

Posso guardare, vero,
l'oriente che si tinge di rosso?
Le colline hanno dei modi allora
che dilatano il cuore.

Tu non sei così bella, mezzanotte.
Io ho scelto il giorno.
Ma, ti prego, prendi una bambina
che lui ha mandato via.

 

Il film Buongiorno, notte di Marco Bellocchio è sicuramente il più bello dei tre qui proposti. Si tratta di una ricostruzione che dà molto spazio alla fantasia che culmina nel momento liberatorio finale (non posso dirvi di che si tratta), mostrando però ciò che nella realtà non può accadere, come nelle migliori tragedie greche. Questo film si muove su più piani: la ricostruzione dei momenti della prigionia, i documenti originali che vengono mostrati solo negli schermi delle TV, i momenti di incredibile quotidianità della brigatista donna che lavora in una biblioteca e poi a casa nasconde l’onorevole Moro. Così la quotidianità si mescola con l’ideologia e ne incrina le certezze. Un’altra dimensione è dunque quella femminile, mai affrontata nei film precedenti, e del suo rifugiarsi nel sogno. Un grande tocco d’arte è poi l’inserimento di immagini tratte dalla storia del cinema, immagini in bianco e nero che fungono da poetiche interferenze. Una tra tutte: la scena dell’uccisione del soldato americano tratto da Paisà di Roberto Rossellini. Senza reticenze si tratta di un film bellissimo.

Scheda del film.

Scena con gli inserti da Paisà.

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domenica 15 marzo 2009

Le fonti dell' "Amleto" di William Shakespeare.

Per completare questo discorso sulle origini dell’Amleto di William Shakespere risponderò alla seguente domanda: da dove proviene la storia di Amleto e come è arrivata in Inghilterra?

Già la domanda implica il fatto che Shakespeare non abbia creato lui la trama di base dell’Amleto ma adattò e elaborò un dramma preesistente che nello scorso articolo abbiamo chiamato Ur-Hamlet (è stato chiamato così per analogia con l’Ur-Faust, la prima stesura del Faust di Goethe). Ma ci sono altre fonti oltre l’Ur-Hamlet? Scopriremo che l’Ur-Hamlet non è altro che un anello mancante nella ricostruzione del viaggio intrapreso da questa storia che di paese in paese e libro in libro è giunta fino a Shakespeare.

La prima fonte di cui siamo a conoscenza risale all’undicesimo secolo e riguarda l’ Historie Danicae Libri di Saxo Grammaticus. I libri III e IV di questa opera sono dedicati alle vicende di Amleth, principe e poi re dello Jutland.

In seguito questa storia fu presa da Francois de Belleforest e inserita sotto forma di novella nelle sue Histoire Tragique del 1570, un opera molto popolare che ebbe tantissime ristampe. Le Histoire Tragique furono tradotte in Inglese e divennero una grandiosa fonte di idee per praticamente tutti i drammaturghi dell’era elisabettiana. La traduzione più importante fu quella di William Painter che però non includeva la novella di Belleforest. Inoltre la trama della novella e quella di Shakespeare sono abbastanza differenti. Il fatto che non abbiamo l’Ur-Hamlet è quindi una grave perdita che non ci permette di ricostruire il passaggio dalla novella di Belleforest alla tragedia scespiriana. Se avessimo potuto leggere l’Ur-Hamlet ci saremmo potuti rendere conto della prima trasformazione che la vicenda ha subito giungendo in Inghilterra.

Un ulteriore fonte è sicuramente la Spanish Tragedy di Tomas Kyd, tragedia che invece possiamo leggere tranquillamente tradotta in italiano per renderci conto delle notevoli affinità con l’Amleto di Shakespeare. In entrambe il vendicatore finge la pazzia e mette in scena una finta rappresentazione teatrale allo scopo di smascherare l’omicida.

La famosa scena di teatro nel teatro denominata mouse trap ha una fonte reale, proviene da un evento realmente accaduto. Amleto chiede ai comici di mettere in scena il dramma The Murder of Gonzago così da far uscire allo scoperto l’omicida del padre. Questa scena è assente sia in Saxo Grammaticus che in Belleforest. Infatti la fonte è la Storia. Nel 1538 era stato assassinato il Duca di Urbino Francesco Maria della Rovere, marito di Leonora Gonzaga. Come il padre di Amleto il Duca di Urbino fu assassinato con del veleno versatogli nell’orecchio. La vicenda si diffuse rapidamente in Europa ed è quasi certo che affascinò talmente anche Shakespeare da inserirlo nella sua opera.

 L’Amleto risulta quindi una vicenda che ha subito molti passaggi di mano e molte manipolazioni prima di giungere sotto la penna di William Shakespeare che ne ha fatto un’opera eccezionale.

 Spero di aver fornito delle notizie interessanti a coloro che volevano saperne di più su questo famoso testo e spero soprattutto di aver suscitato la voglia di leggerlo a chi non l’avesse ancora fatto.

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sabato 14 marzo 2009

La datazione dell'"Amleto" di William Shakespeare.

Per fare un passo avanti rispetto al discorso intrapreso nell’ultimo articolo  è necessario affrontare il problema della datazione dell’Amleto di Shakespeare, anziché parlare delle fonti (cosa che farò domani). Mi sono infatti reso conto che è più utile seguire questo ordine.

Come facciamo a sapere in che periodo è stato scritto l’Amleto? Perché gli studiosi riescono ad affermare una data precisa? Scoprirete cose molto interessanti.

 

Datazione dell’Amleto di Shakespeare.

 Gli studiosi ci dicono che l’Amleto di William Shakespeare risale al periodo maturo dell’attività del drammaturgo, e precisamente tra il 1600 e il 1601. Come hanno fatto a stabilirlo?

Per prima cosa abbiamo delle date certe che sono quelle di pubblicazione (di cui abbiamo parlato nel precedente articolo), cioè le date sui frontespizi delle prime edizioni. Abbiamo visto che il primo in-quarto (Q1) risale al 1603. Questa è solo la data di pubblicazione però, è evidente che l’opera è stata scritta prima.

 Se si va a scorrere il cosiddetto Stationers’ Register, un albo in cui gli editori dovevano registrare le opere che intendevano pubblicare, alla data 26 luglio 1602 si trova inserito “a booke called the Revenge of Hamlett Prince Denmarke as yt was latelie Acted by the Lord Chamberleyne his servantes” (le sgrammaticature sono originali). Ma c’è un’altra e determinante testimonianza: in un appunto di Gabriel Harvey, docente a Cambridge, risalente al febbraio del 1601 si legge: “I più giovani traggono grande diletto dal Venere e Adone di Shakespeare; ma la sua Lucrezia e la sua tragedia di Hamlet, prince of Denmark posseggono qualità atte a soddisfare persone di maggior discernimento”. 

Adesso sappiamo che l’Amleto non può essere stato composto dopo tale data, abbiamo stabilito il cosiddetto termine ad quem. Ma non basta, bisogna anche scoprire il termine prima del quale la tragedia ancora non esisteva, il cosiddetto a quo.

 Gli studiosi hanno quindi notato che nell’elogio all’opera di Shakespeare contenuta del Palladis Tamia di Francis Meres (che ho pubblicato in un altro articolo), è assente nell’elenco delle opere più famose proprio l’Amleto. Visto che la tragedia ebbe un immediato successo è quasi certo che non era ancora stata rappresentata, altrimenti il Meres l’avrebbe menzionata.         

Ora abbiamo due termini: il 1598 e il 1601. Considerando che non si conoscono menzioni dell’opera né nel 1599, né nel 1600 è probabile che la data di composizione si avvicini di più al 1601, o quantomeno a cavallo tra i due secoli.

 

Ma non è ancora finita, perche la questione si complica proprio adesso.

L’11 giugno 1594 è registrata una rappresentazione di un altro Hamlet, da parte proprio dei Lord Chamberlain di Shakespeare e ancora più indietro il celebre letterato Tomas Nashe allude ai discorsi tragici di Amleto già a partire dal 1589. Si è ipotizzata quindi l’esistenza di un altro Amleto, ad opera forse di Thomas Kyd, autore tra l’altro della Spanish Tragedy, il prototipo della tragedia di vendetta elisabettiana che ha molte affinità con l’Amleto. Quest’opera, chiamata Ur-Hamlet, era nel repertorio della compagnia di Shakespeare ed è stata in seguito ripresa dallo stesso Shakespeare per farne il capolavoro che oggi conosciamo.

Un ulteriore e curioso elemento è il fatto che nel 1585 nasce l’unico figlio maschio di Shakespeare e che nome gli viene dato? Hamnet. Non vi è una certa somiglianza? Shakespeare aveva appena vent’anni. Quindi la vicenda di Amleto è stata familiare al drammaturgo già dalla sua giovinezza, anche perché nell’Ur-Hamlet probabilmente recitava nella parte dello spettro. Un’idea quindi dalla lunga elaborazione che si è manifestata sotto varie forme prima di diventare l’ Amleto che leggiomo oggi.

La storia di come la vicenda di Amleto sia giunta in Inghilterra, passando per la Francia è ancora più interessante e verrà trattata nel prossimo articolo. 


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Le origini di "Amleto" di William Shakespeare.

Amleto di William Shakespeare è una delle tragedie più importanti della letteratura drammatica di tutti i tempi. E’ un’opera complessa, sulla quale sono state scritte intere biblioteche, ricca di molteplici possibilità di interpretazione. E’ un testo poetico di incredibile forza che ha spinto anche numerosi registi a farne traduzioni cinematografiche: Laurence Olivier, Kenneth Branagh, Carmelo Bene sono tra i più famosi, ma la lista è molto più lunga. Ma ad essere complesse sono anche le origini di Amleto. Il testo che leggiamo oggi è davvero l’originale composto da Shakespeare? Come è stato possibile stabilire la sua data di composizione? A quali fonti ha attinto William Shakespeare per la stesura di Amleto? Cercherò di rispondere brevemente in modo completo nel corso di tre articoli.

Quello che leggiamo è davvero l’Amleto di William Shakespeare?
Prima di tutto bisogna rendersi conto che qualsiasi edizione dell’Amleto leggiamo oggi, esso non corrisponde all’opera che Shakespeare ha realmente composto. Semplicemente perche non esiste un solo Amleto, ne esistono tre. Cioè ci sono tre edizioni primarie da cui derivano le edizioni successive. Questi tre Amleto sono in parte diversi l’uno dall’altro e quindi sta alla discrezione dell’editore la scelta di una delle tre edizioni. L’unica cosa da fare sarebbe quella di leggerle tutte e tre.


La prima edizione, denominata Q1 (Q sta per “quartos” cioè in-quarto, il formato di queste edizioni) del 1603 è poco attendibile perché riporta numerosi tagli e contaminazioni da altre tragedie. Si tratta probabilmente di una ricostruzione a memoria fatta da attori che avevano recitato l’Amleto e per sfruttarne il successo avevano messo insieme questa pessima versione all’insaputa della compagnia di Shakespeare. Edizioni di questo tipo sono note come “bad quartos”, a causa della loro illegittimità e scarsa attendibilità.




L’edizione successiva è del 1604 o 1605 ed è denominata Q2. Sebbene questa edizione è considerata la più autorevole è priva di gran parte della discussione tra Amleto, Ronsencrants e Guildernstern a proposito della concorrenza che le compagnie dei ragazzi facevano a quelle degli adulti (Atto II, scena II). Questa scena è presente sia in Q1 che nel testo del 1623, che vedremo tra poco. Una curiosità: in questa edizione appare per la prima volta la scena in cui Amleto viene rapito dai pirati. Questa scena è assente sia in Q1 che nelle fonti da cui ha attinto Shakespeare. C’è chi sostiene che sia stata inserita per denunciare gli atti di pirateria che si stavano compiendo nei confronti delle sue opere di cui Q1 ne era una testimonianza.


L’altra edizione risale al 1611 (Q3). Si tratta di una ristampa della precedente versione.


L’ultima e importantissima edizione è quella presente nel famigerato in-folio del 1623 (l’edizione postuma che raccoglie tutte le opere di Shakespeare). Risulta differente sia da Q1 che da Q2 o Q3. Sebbene vi siano numerose correzioni e varianti, presenta anche molti tagli, soprattutto nella parte proprio di Amleto. Probabilmente perché l’attore per cui Shakespeare aveva scritto quella parte, Richard Burbage, era morto e il suo successore era di più scarso valore. Un’altra motivazione va ricercata nell’esigenza di accorciare un testo troppo lungo per poter essere messo in scena. Mentre Q1 è un’edizione più vicina alle esigenze del lettore, F (così e denominata quella del 1623, da “folio”) è più vicina alle esigenze dello spettatore.
Vista la varietà di queste edizioni quindi, come è possibile approntare una versione esatta e originale? Bisogna leggerle tutte.
Nel prossimo articolo tratterò il problema delle fonti. Dove l’ha presa Shakespeare l’idea per questa tragedia?


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