In uno dei suoi quattro argomenti con cui il filosofo Zenone (V sec. a.c.) intendeva prendere le difese di Parmenide, si può leggere una bellissima metafora del Cinema.
L'argomento in questione è quello della freccia.
Nel volume I, tomo A del manuale di filosofia del liceo (Abbagnano-Fornero, II edizione, pag 63) si può leggere:
“la freccia che appare in movimento è in realtà immobile: difatti essa occuperà ad ogni istante soltanto uno spazio determinato, pari alla sua lunghezza; e poiché il tempo in cui essa si muove è fatto di infiniti istanti, per ognuno di questi istanti, e per tutti, la freccia sarà immobile. […] il moto risulta impossibile, poiché da una somma di mobilità e di istanti fermi in se stessi non può risultare qualcosa di diverso, cioè il movimento.”
Che Zenone parlasse di cinema è ovviamente solo una provocazione, che serve però a stimolare un’interessante riflessione. Che cos’è il cinema se non una grande beffa? O più educatamente: una grande illusione?
Il movimento delle immagini sullo schermo è solo illusorio, perché si basa su un limite della percezione visiva umana (a livello cerebrale). Quell’apparente fluire di immagini è in realtà una sequenza di fotogrammi, che occupano uno spazio e un intervallo di tempo precisi. La velocità di riproduzione di quei fotogrammi determina l’illusione del movimento. Questo fenomeno è meglio noto come persistenza della visione.
Questa sotterranea corrispondenza tra un filosofo di 2500 anni fa e una tecnica del XX secolo mi pare, se non interessante, almeno simpatica.
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Sklovskij. (E dopo, Epstein).
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