martedì 31 marzo 2009

L’organicità nel teatro di regia.

“Organicità” è la parola fondamentale per capire l’essenza del teatro di regia e ciò che lo differenzia dal teatro precedente. Finora ho evitato di usare il termine in attesa di darne una definizione. Negli scorsi articoli ho utilizzato termini analoghi (coerenza, unità) che però non hanno la precisione e la chiarezza di “organicità”. Bisogna considerare questo termine un po’ come il filo rosso che lega tutte le esperienze teatrali della rivoluzione di cui stiamo parlando in questa serie di articoli. Tutti i riformatori del teatro tra la fine dell’Ottocento e i primi trent’anni del Novecento ricercarono in modi diversi di raggiungere l’organicità nei loro spettacoli. Se si comprende a fondo ciò che questo significa si capisce anche che cosa si intende per teatro di regia.

Che cos’è un organismo? E’ un complesso formato da più parti in cui ogni singola parte partecipa al funzionamento del tutto. Ogni parte è responsabile del tutto e se una di esse funziona male ne risente tutto il complesso.

L’organicità è vita.

Il teatro di regia è ossessionato dalla ricerca della vita, non nel senso del naturalismo, ma in quello proprio dell’organicità. Il regista è il garante dell’organicità dello spettacolo e il suo lavoro è quello di fare in modo che ogni parte dello spettacolo (recitazione, scenografia, musica, illuminazione…) partecipi alla creazione di un organismo che vive. Se una sola di queste parti non funziona bene ne risente l’intero spettacolo. Nel teatro dell’Ottocento ogni singola parte era slegata delle arte perché non era monitorata da una singola figura. Ogni attore pensava da sé per il costume, le scenografie non erano pensate per uno spettacolo in particolare e nemmeno la recitazione era studiata per un singolo personaggio. Nel teatro di regia invece ogni singola parte deve inserirsi perfettamente e coerentemente nel complesso formato dalle altre parti. L’attore funziona bene grazie ad una scenografia che funziona bene e così via per tutti gli elementi. Lo spettacolo deve configurarsi come un corpo unico.

Per esempio nella compagnia dei Meiniger le scene di massa erano così ammirate proprio perché erano vive, ed erano vive perché il gruppo di attori era trattato come organismo: ognuno aveva un compito preciso rispetto a sé e agli altri. L’effetto finale dipendeva dal lavoro di ogni attore preso singolarmente. Ma il singolo scompare in virtù dell’unicità di un organismo.

Ma vedremo nei prossimi articoli che questo aspetto sarà importante per tutti gli uomini di teatro di cui faremo conoscenza. La storia della regia teatrale può anche essere intesa come variazioni sul tema dell’organicità.

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lunedì 30 marzo 2009

Il teatro della compagnia dei Meininger del duca Giorgio II di Meiningen. Una prima rivoluzione.

Quella della compagnia dei Meininger è sicuramente una delle principali esperienze che interessano il nostro discorso sulla regia teatrale.  Non si può assolutamente prescindere dal prendere in considerazione il lavoro di questa compagnia, sia per le evidenti e a tratti violente innovazioni ma anche per l’enorme influenza che tali innovazioni esercitarono sulle esperienze teatrali di grandi personalità del teatro di regia. All’epoca tutti subirono il fascino delle rappresentazioni dei Meininger che rispondevano alle esigenze di rinnovamento di cui ho parlato nello scorso articolo. Si può affermare che il teatro dei Meininger pone uno dei punti di partenza del teatro di regia. Furono precursori della regia teatrale.

 

Giorgio II, duca di Meiningen (1826-1914).

La figura di Giorgio II è davvero importante per la storia del teatro. Fin dagli anni giovanili manifestò una viva attenzione nei confronti dell’arte e del teatro. Studiò pittura, arte antica, archeologia e frequentò con assiduità i teatri europei nei suoi numerosi viaggi. Fu però un osservatore particolare: critica l’approssimazione dei costumi, delle scenografie, la scarsa attenzione per la ricostruzione storica e soprattutto i rimaneggiamenti dei testi.

 

La compagnia dei Meininger.

Dopo l’abdicazione del padre nel 1866 assume il controllo del piccolo teatro e subito inizia a mettere a frutto le proprie esperienze artistiche per una forte riforma del teatro. Nel 1970 fonda la storica compagnia dei Meininger sotto il principio generale che tutte le varie parti di uno spettacolo (scenografia, recitazione, costumi, luci, musica…) devono rispondere ad un principio unitario di coerenza scenica.

Il punto di partenza è il totale rispetto del testo letterario che deve essere recitato nella sua integrità e seguendo i principi del naturalismo. Il primo periodo di riforma del teatro fu infatti all’insegna del realismo scenico, della riproduzione puntuale della vita sulla scena e del rispetto del principio fondamentale della quarta parete. Gli attori recitano senza curarsi dello spettatore, anche di spalle e coprendosi l’un l’altro. Ad una scenografia fatta di quinte dipinte si sostituisce un ambiente tridimensionale e praticabile, con oggetti e mobili veri. La scenografia non è più un semplice sfondo ma un luogo fatto di oggetti reali con cui l’attore interagisce.

La ricostruzione storica è maniacale. Sia nei costumi che negli oggetti i Meininger vanno alla ricerca della riproduzione precisa dell’epoca in cui la rappresentazione è ambientata. Per il Giulio Cesare tutta la compagnia si spostò a Roma per studiare i luoghi reali in cui si era svolta la storia. L’ambientazione veniva ricostruita a partire da quadri, disegni dell’epoca con la maggiore precisione possibile. Ogni spettacolo era insieme una ricostruzione filologica del testo e una ricostruzione storicamente perfetta di un’epoca. Il tutto era finalizzato ad una precisa volontà illusionistica: il pubblico doveva illudersi di assistere ad un pezzo di realtà, non ad una finzione. Questi gli aspetti fondamentali a cui va aggiunta una particolare attenzione e maestria della direzione delle masse.

Le prove duravano a lungo ed erano regolate da una ferrea disciplina sotto il comando del regista della compagnia, Ludwig Chronegk che per la sua forte autorità fu definito un regista-despota.

La compagnia si sciolse nel 1890 e nel corso della sua attività intraprese numerose tourné in giro per l’Europa arrivando fino a Mosca. Tanti artisti furono affascinati dai loro spettacoli e le caratteristiche del loro lavoro confluirono nelle idee di teatro di artisti molto importanti come Antoine e Stanislavskij.

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domenica 29 marzo 2009

Il teatro del grande attore: vizi e virtù del teatro dell’Ottocento.

Nello scorso articolo ho iniziato ad affrontare il tema, così importante per il teatro contemporaneo, della nascita della regia teatrale. Ho scritto che a cavallo tra Ottocento e Novecento è avvenuta una rivoluzione teatrale che ha visto numerosi uomini di teatro rifiutare il sistema della produzione spettacolare a cui erano abituati. Sto parlando di artisti come Antoine, Dancenko e Stanislavskij, Fuchs, Appia, Craig, Reinhardt e Copeau, cioè i cosiddetti padri fondatori del teatro di regia. Tutte queste figure nutrirono lo stesso sentimento di rivolta nei confronti del teatro dell’Ottocento. Perché tutto questo odio a latitudini così differenti?


Il grande attore

Il teatro ottocentesco veniva visto come un ambiente fortemente degradato dal punto di vista artistico, in cui erano abituali comportamenti e modi di lavoro che portavano alla creazione di spettacoli raffazzonati e approssimativi. Si trattava di un teatro altamente professionale, il cui scopo principale era quello di vendere spettacoli. Tutta la struttura di questo sistema di produzione era finalizzato ad ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Questo perché per vendere bisognava produrre incessantemente. Il teatro dell’Ottocento era basato tutto sulla enorme esperienza e bravura dell’attore e tutto lo spettacolo era finalizzato alla sua performance. E’ infatti chiamato il teatro del grande attore. Per fare alcuni nomi un po’ a caso: Tommaso Salvini, Adelaide Ristori, Gustavo Modena, Giovanni Grasso, Eleonora Duse… Nei casi in cui gli attori erano di così grande levatura gli spettacoli raggiungevano incredibili vette artistiche, ma nella maggior parte dei casi ciò non avveniva e il pubblico divenne insofferente verso una forma teatrale troppo ripetitiva e colma di luoghi comuni. Vediamo che vuol dire.

 

I ruoli.

Per permettere una veloce ed efficace composizione dello spettacolo interveniva un aspetto fondamentale che sta alla base di tutto il teatro ottocentesco, mi riferisco al sistema dei ruoli. Ogni personaggio veniva ricondotto ad una ben definita categoria umana ed ogni attore era specializzato in una di queste categorie, meglio note come tipi umani. C’era il primo attore specializzato nei ruoli da protagonista, il caratterista nei ruoli comici e buffi, l’attore specializzato nei ruoli di vecchi Re o saggi e così via. La bravura di un attore era direttamente proporzionale alla sua esperienza perché ogni nuova interpretazione era il frutto della eliminazione di tutto ciò che non aveva avuto successo nelle precedenti recite  e la riproposizione di ciò che invece aveva funzionato. Come è facile prevedere più interpretazioni un attore aveva affrontato più raffinata e complessa era la sua performance.

Grazie al sistema dei ruoli l’attore sapeva già come un personaggio andava recitato e le prove servivano solo ad imparare la parte a memoria e dove non arrivava la memoria c’era il suggeritore.

Il suggeritore è un elemento fondamentale in un tipo di spettacolo in cui meno prove si fanno meno tempo si spreca. Il teatro dell’Ottocento è pieno di casi in cui gli attori recitavano vicinissimi alla buca del suggeritore perché non ricordavano la parte.

 

Gli attori.

In Sei personaggi in cerca d’autore Pirandello inserisce importanti elementi che rappresentano i vizi del teatro dell’Ottocento. Emblematico è il caso della prima attrice che naturalmente arriva in ritardo portando con se un cagnolino. Questo era un teatro in cui non si conosceva la disciplina, in cui gli attori erano capricciosi e soprattutto incredibilmente gelosi gli uni degli altri. Il primo attore non doveva in alcun modo essere offuscato e spesso i drammi venivano incredibilmente modificati per esaltare di più l’interpretazione di un dato attore o attrice. Questo è un alto importante elemento: l’assenza di rispetto per il testo drammatico. L’opera letteraria subiva continui e radicali rimaneggiamenti per rispondere meglio alle esigenze della compagnia. Per quanto riguarda le copie sulle quali gli attori studiavano la parte è da sottolineare un aspetto in particolare: quando il copione arrivava nella compagnia c’era un incaricato che si occupava di ricopiare a mano il testo per poi distribuirlo ad ogni attore. Ma non si trattava del testo completo ma solo della parte che il singolo attore doveva recitare. Per esempio: l’attore che doveva interpretare Amleto riceveva solo le parole di Amleto, l’attrice che doveva interpretare Ofelia solo quelle di Ofelia e cosi via. L’attore non conosceva le battute degli altri attori.

 

Il capocomico.

La figura che si occupava di dirigere i lavori era il capocomico che non era assolutamente come il nostro regista. Si occupava della direzione artistica e amministrativa della compagnia. Sceglieva i testi, reclutava gli attori, cercava i teatri in cui recitare, gestiva la cassa. Spesso era un attore e si occupava di addestrare gli attori più giovani. Era una sorta di imprenditore dello spettacolo che gestiva un’impresa composta da specialisti del mestiere. Ognuno si occupava del proprio compito senza dover necessariamente saper fare il compito dell’altro.

Ciò provocava però una perdita della qualità degli spettacoli che venivano messi su con molta fretta. Per i costumi ogni attore doveva provvedere da sé. Doveva possedere un proprio guardaroba che però si riduceva quasi sempre a pochi costumi: uno per le rappresentazioni contemporanee, uno per il medioevo, uno per il rinascimento. Lo stesso costume veniva usato per tutte le messe in scena, anche di testi diversi.

Per quanto riguarda la scenografia ogni compagnia aveva una serie di quinte facilmente trasportabili che rappresentavano scenari standard, buoni per più occasioni.

Tutti gli elementi evidenziati erano complici di una evidente ripetitività degli spettacoli e soprattutto gli intellettuali più sensibili iniziarono a ribellarsi a questo modo di fare teatro. Nei prossimi articoli inizieremo il nostro viaggio all’interno di questa rivoluzione attraverso le idee di coloro che hanno fondato il nostro modo di vedere il teatro.

 

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giovedì 26 marzo 2009

La regia teatrale.

Quando parliamo di teatro o di uno spettacolo a cui abbiamo assistito è naturale utilizzare termini come regia o regista. Il fatto che nel teatro ci sia la figura del regista è automatico, ovvio. La maggior parte degli spettacoli teatrali sono infatti il frutto del lavoro di un regista che prende un testo drammatico, crea una sua visione di come dovrà essere la messa in scena e grazie all’orchestrazione di attori, scenografi, musicisti e macchinisti porta a termine il suo lavoro con la rappresentazione di fronte ad un pubblico. Ma non è sempre stato così: la figura del regista è infatti una creazione del tutto inedita del secolo scorso. Il teatro dell’Ottocento non era infatti un teatro di regia.

 

Il regista

Il regista è considerato creatore di primaria importanza nella produzione di uno spettacolo. Grazie a lui la messa in scena è dominata da una sorta di unicità in grado di fondere il lavoro di diverse professionalità in un qualcosa di armonico. Questa figura nasce in seno ad una vera e propria rivoluzione avvenuta nel teatro occidentale a cavallo tra Ottocento e Novecento. Gli ultimi anni dell’Ottocento e i primi trent’anni del Novecento sono stati una stagione straordinaria in cui il teatro ha letteralmente cambiato volto. Per comprendere la portata di tale cambiamento è importante considerare che cosa fosse il teatro dell’Ottocento per capire il perché di questa rivoluzione. Cosa c’era che non andava nel teatro ottocentesco? Perché questo bisogno di cambiamento? A rivoluzione avvenuta, che teatro è nato?

Tenterò di rispondere a queste domande attraverso una serie di articoli nei quali, a partire dall’odiato teatro dell’ottocento, affronterò il tema della nascita della regia toccando i vari protagonisti e le varie idee che hanno caratterizzato questo periodo così importante per tutto il teatro del Novecento.  E naturalmente si cercherà di far capire che cosa si intende davvero con il termine regista.

Proprio perchè il teatro di regia nasce come moto di rivolta nei confronti del teatro ottocentesco nel prossimo articolo inizierò con il prendere in considerazione tutta le serie di comportamenti, abitudini, modi di lavoro e vizi di questo teatro che i vari riformatori della scena disprezzavano e contro i quali mossero la loro rivoluzione.


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martedì 24 marzo 2009

"Matrix": pillola azzurra o pillola rossa?

Cosa aggiungere alle migliaia di pagine che son state spese sul film Matrix, dei fratelli Wachowski? Si tratta di un film che anche le pietre hanno visto, campione di incassi e vincitore di quattro premi oscar. Naturalmente tratteremo questo film per ciò che interessa il discorso che abbiamo seguito attraverso Vanilla Sky, eXistenZ e The Truman Show, ossia della possibilità che il mondo in cui viviamo non sia quello reale ma un sogno (Vanilla Sky), un videogame (eXistenZ) o uno show televisivo (The Truman Show).

Il caso di Matrix è davvero estremo: il mondo come lo conosciamo ora e infatti scomparso da centinaia di anni e le macchine, che hanno preso il dominio sulla vita, mantengono gli essere umani in speciali contenitori allo scopo di trarne energia. Matrix è il sistema di impulsi elettrici inviati al cervello di queste larve umane, che serve a mantenerli sotto controllo attraverso l’induzione dell’illusione di vivere nel XX secolo. Solo una banda di ribelli è riuscita a svincolarsi da Matrix e a creare una sorta di fronte rivoluzionario, capeggiato da Morpheus, con lo scopo di restaurare l’antico dominio dell’uomo.

Come in Vanilla Sky c’è l’idea del corpo tenuto in qualche modo in uno stato di coma indotto e quella dell’illusione di continuare a vivere come se fosse la realtà effettiva. In più c’è questo dominio delle macchine che hanno preso il sopravvento sull’essere organico, biologico. Queste macchine però sono legate da una specie di cordone ombelicale all’uomo che le ha create perché è grazie a quei corpi coltivati che ottengono l’energia necessaria. L’uomo in un certo senso non è del tutto scomparso e anzi si intravede la possibilità di una riscossa e di una rivoluzione.

Nel film Matrix il tema che più mi affascina è la possibilità della scelta: in una scena famosa Morpheus mette davanti agli occhi di Neo due pillole, azzurra e rossa e pronuncia le seguenti parole: “E’ la tua ultima occasione, se rinunci non ne avrai altre. Pillola azzurra: fine della storia. Domani ti sveglierai in camera tua e crederai a quello che vorrai. Pillola rossa: resti nel paese delle meraviglie, e vedrai quanto è profonda la tana del bianconiglio”. Mentre Neo avvicina la mano verso la pillola rossa aggiunge: “Ti sto offrendo solo la verità”. Neo ha scelto la strada della verità naturalmente, altrimenti il film sarebbe fini lì e buonanotte. Ma non è così automatica la scelta. Visto che la realtà indotta è così bella da vivere, perché scegliere la verità? A che scopo?

Ovviamente non può non esserci un rapporto con la nostra contemporaneità, altrimenti non ne avrei parlato. Secondo me la differenza tra le due realtà, quella fittizia e quella reale, esiste e va ricercata nella vita normale. L’uomo comune, che non si fa problemi, che pensa solo alle proprie vicinanze, che non si informa, che crede solo alla televisione e ne fa l’unico strumento di conoscenza… potremmo dire che quest’uomo assume dosi massicce di pillole azzurre.

Poi ci sono coloro che decidono di non vivere nell’ignoranza e cercano nel loro piccolo di avvicinarsi il più possibile alle piccole verità di tutti i giorni. Per fare questo basta ingoiare una sola volta la pillola rossa.



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lunedì 23 marzo 2009

Enrico Montesano come Buster Keaton, possibile?

Oggi in televisione hanno mandato in onda un vecchio filmato di Enrico Montesano, Orchestra, del 1975. In questo video il comico interpreta le diverse parti di direttore d'orchestra, pianista, clarinettista, percussionista in una rappresentazione surreale tipica della slapstick comedy. Ovviamente ho subito pensato all'inizio di un bellissimo cortometraggio di Buster Keaton, The playhouse, in cui il grande comico della stagione del muto fa praticamente la stessa cosa. Diversi anni prima però, siamo nel 1921.
Non voglio dire che Enrico Montesano abbia copiato a Buster Keaton, voglio solo proporre il confronto. L'interpretazione del comico italiano ha davvero delle grandissime invenzioni che avrete modo di vedere...

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domenica 22 marzo 2009

"The Truman Show", il grande fratello.

The Truman Show è un film molto famoso diretto nel 1998 da Peter Weir e interpretato da Jim Carrey (premiato tra l’altro con un Golden Globe). C’è un piccolo particolare che lo lega a eXistenZ: David Cronenberg rifiutò di dirigere The Truman Show. Questo film affronta il tema che abbiamo seguito a partire da Vanilla Sky, considerando come mondo fittizio una realtà creata ad hoc intorno ad un solo essere umano allo scopo di mettere su un grandissimo show televisivo. Si tratta di una estremizzazione del reality show, del grande fratello.  

Truman Burbank (Jim Carrey) vive su un’isola e conduce una normalissima esistenza. Ha una grande paura del mare, cosa che gli impedisce di andare via. Ma ad un certo punto accadono cose molto insolite che lo porteranno a scoprire una atroce verità: tutta la sua vita, fin dalla nascita è stata seguita da un complesso sistema di telecamere che hanno mostrato al mondo, in diretta, ventiquattr’ore su ventiquattro e sette giorni su sette ogni momento della sua esistenza, da quando ha mosso i primi passi ai suoi primi baci, dalle gioie alle sofferenze, senza alcuna censura.

Per realizzare The Truman Show, tutto un mondo è stato creato, isolato da tutto il resto. Gli abitanti dell’isola sono attori che recitano in funzione di Truman, in un certo senso esistono per quel mondo solo in rapporto alla sua esistenza. Un mondo che si svolge a pezzi, solo dove c’è Truman.

Come è chiaro The Truman Show mostra una prospettiva davvero inquietante del discorso che stiamo facendo. Il mondo fittizio non è più causato da scelte personali come quella di David di aderire alla Life Extension o quella di partecipare ad un videogioco, in The Truman Show c’è l’inganno, la riduzione in schiavitù di un individuo al servizio dello spettacolo.

Ma notate bene che una prospettiva cosi estrema non è poi tanto lontana dalla realtà. Pensate alla spettacolarizzazione che contraddistingue la nostra contemporaneità: tutto ciò che può trasformarsi in share viene filmato e trasmesso, senza alcun pudore o rispetto  per le persone. Vengono intervistati padri che hanno appena perso un figlio, con quei primi piani sugli occhi gonfi di lacrime che io non esito a giudicare immorali. La sofferenza diventa merce e tanto più questa sofferenza è spettacolare meglio è. In Italia si potrebbe dire che questo processo di spettacolarizzazione delle tragedie umane abbia avuto inizio nel giugno del 1981, quando il caso di Alfredino Rampi, caduto in un pozzo largo appena 30 centimetri, ebbe una copertura mediatica senza precedenti. Ora dico una cosa cattiva: chissà se la sua morte abbia fatto aumentare lo share…

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sabato 21 marzo 2009

"eXsistenZ" di David Cronenberg, realtà o videogame?

Continuando il discorso che abbiamo iniziato ieri con Vanilla Sky ci imbatteremo oggi in questo bel film di David Cronemberg: eXistenZ, del 1999.

La realtà fittizia non è più quella inventata dalla società Life Extension come accadeva nel film di Crowe ma è quella del mondo virtuale dei videogame. David Cronenberg da grande regista del postmoderno ha individuato con eXistenZ questo problema che ora si manifesta in tutta la sua imponenza con l’era di Second Life per esempio: il mondo altro in cui il nostro corpo viene sostituito da un avatar che agisce in una realtà virtuale. 

In eXistenZ i personaggi possono connettersi alla realtà virtuale grazie ad un Game Pad organico, fatto di carne, che comunica con il corpo grazie ad una “bioporta” nel midollo spinale. Come è chiaro la contaminazione umano-non umano è molto forte, l’organico e l’inorganico sono legati da un patto quasi diabolico che mette in seria discussione la stessa esistenza dell’essere umano. Ci sono confini tra l’organico (il corpo umano) e l’inorganico (le applicazioni tecnologiche)? I vari apparecchi elettronici come cellulari, iphod, minuscoli pc sono diventati parti integranti della nostra vita che di rado si dividono dal nostro corpo e ciò mette in discussione gli stessi confini del corpo umano. Dove finiamo? Possiamo considerare la pelle come il confine estremo del nostro corpo? O dobbiamo spostare la frontiera e includere anche queste apparecchiature che ci seguono ovunque? Possiamo immaginare un futuro in cui gli auricolari saranno inseriti direttamente nell’orecchio, il microfono vicino le corde vocali e le varie tastiere sotto la pelle del palmo della mano? Il nostro corpo è in continua ridefinizione e tutto il cinema di David Cronenberg mette in evidenza questa problematica.

In eXistenZ David Cronenberg non indica una via di fuga: la realtà del videogioco si confonde a tal punto con quella che consideriamo reale che non si possono più distinguere. Realtà e videogioco non sono più riconoscibili come distinte l’una dall’altra.

Questo è davvero un monito: rischiamo davvero di perderci per sempre nel mondo virtuale? Nel momento in cui il nostro corpo interagisce solo con un computer, in cui gli amici gli incontriamo solo su facebook, in cui i rapporti umani sono ridotti a scambi di bit, cosa resta della vita fatta di scambi di odori e di particelle organiche?  

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venerdì 20 marzo 2009

"Vanilla Sky" di Cameron Crowe: sogno o realtà?

Con Vanilla Sky di Cameron Crowe ho intenzione di iniziare un percorso attraverso una serie di film che trattano da diversi punti di vista lo stesso problema di natura squisitamente filosofica. Mi riferisco alla differenza tra realtà percepita e realtà effettiva, tra realtà soggettiva e oggettiva. Le domande inquietanti che questi film pongono sono: la realtà in cui viviamo esiste davvero o è solo una nostra percezione? I luoghi, le cose e le persone esistono solo in rapporto a noi? La realtà che percepiamo corrisponde alla realtà vera, quella cioè che ci sopravvive? 

La questione è seria perché se consideriamo che la realtà che noi percepiamo è totalmente diversa da quella percepita ad esempio da un pipistrello, allora vuol dire che non esiste una realtà uguale per tutti o che ogni specie vivente (se non ogni individuo) ha un modo diverso di percepire la realtà. Questo tema è stato ampiamente indagato dalla filosofia e in questa serie di articoli vedremo come è stato affrontato dal cinema. Inizieremo con Vanilla Sky per poi parlare di film come eXistenZ, The Truman Show, Matrix e Blade Runner.


Vanilla Sky.

 Vanilla Sky è uscito nel 2001, diretto da Cameron Crowe e interpretato da Tom Cruise (David), Cameron Diaz (Julie), Penelope Cruz (Sofia) e Kurt Russel (Dr. Curtis McCAbe). Si tratta di un remake di un film spagnolo dal titolo Apri gli occhi di Alejandro Amenàbar in cui recitava la stessa Penelope Cruz e nello stesso ruolo. Film pluridecorato e con una colonna sonora davvero imponente per importanza degli artisti autori delle canzoni: Radiohead, Jeff Buckley, Paul MacCartney, Sigur Ros, R.E.M., Peter Gabriel e tanti altri (date un’occhiata alla pagina di wikipedia per farvi un’idea precisa).

Di seguito sarò costretto a rivelare la trama di Vanilla Sky quindi prendete le dovute contromisure se non lo avete visto.

Parto direttamente da ciò che si scopre alla fine del film così da comprendere subito il tema di Vanilla Sky. David (Tom Cruise) è un giovane ricchissimo che ha ereditato una casa editrice dal padre. In seguito ad un incidente stradale causato da Julie (Cameron Diaz), innamorata di David che però ama Sofia (Penelope Cruz), la sua vita è distrutta: sfigurato in viso e impedito in diverse parti del corpo, si chiude in se stesso e a stento riesce a mantenere un qualche rapporto umano. Decide allora di rivolgersi alla società Life Extension che lo iberna in attesa dei necessari progressi della scienza. David sceglie però il programma “sogno lucido” che consiste nel continuare a vivere in un sogno talmente realistico da sembrare realtà. Il corpo di David è ibernato ma la mente continua a vivere. Nel sogno tutto si aggiusta, i dottori riescono a ricostruire il volto di David che riesce così a riconquistare Sofia e a riprendere in mano la sua vita. Ma avviene una sorta di cortocircuito e il “sogno lucido” diventa uin’incubo. A Sofia si sostituisce Julie (che era morta nell’incidente) e quasi pazzo David finisce per ucciderla. Accusato di omicidio viene assistito in carcere dallo psicologo Dr. Curtis McCabe (Kurt Russel) che alla fine dichiara la sua incapacità di intendere e di volere. Ma a questo punto David vede la pubblicità della Life Extension e comincia a capire. La realtà si mischia al sogno fino al punto in cui David può decidere se svegliarsi e riprendere la sua vita reale ora che la scienza ha fatto nuove scoperte. Sono infatti passati 150 anni. David decide di abbattere il “velo di Maya” (vedi Shopenauer) e di svegliarsi dal sogno.

Ovviamente questa trama abbastanza lineare è svolta nel film in modo più complesso. Tutto è reso come la testimonianza che David fa allo psicologo, secondo lo stile del flashback e fino alla fine non si capisce cosa stia accadendo.

Vanilla Sky ci porta direttamente all’interno della realtà fittizia di David, facendoci appassionare ed emozionare come se fosse la sua realtà vera. Assistiamo allo svolgersi di una vita in cui crediamo fino alla fine, nonostante i vari spiazzamenti e le situazioni che non comprendiamo. Alla fine però la realtà si manifesta diversa da quella a cui abbiamo creduto e tutto ciò che abbiamo visto non era altro che un sogno indotto e continuamente monitorato dagli esperti della Life Extension. Vanilla Sky ci fa riflettere sulla percezione che abbiamo del mondo e sulla reale consistenza di questo amaro contingente. E se anche la nostra vita non fosse altro che un sogno? Quali prove abbiamo? Siamo sicuri di esistere in questo modo? Non è possibile che la nostra esistenza non sia altro che un sogno indotto da medici in un cervello sott’olio?

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giovedì 19 marzo 2009

I film sul mostro di Firenze, dall'Italia a Hollywood.

Sul quotidiano La Repubblica di oggi nella sezione spettacoli si possono leggere due articoli che riguardano lo stesso argomento: l'uscita di una serie che tv in Italia per FoxCrime e di un film a Hollywood per la United Artists di Tom Cruise, che hanno per argomento una delle pagine più buie della storia italiana, i delitti del mostro di Firenze.

 

In Italia.

In Italia il regista Antonello Grimaldi ha appena iniziato le riprese della serie tv Il mostro di Firenze, gli sceneggiatori sono gli stessi di Romanzo criminale: Daniele Cesarano, Barbara Petronio e Leonardo Valenti.

 La serie di sei episodi avrà come oggetto le estenuanti ricerche di un uomo che non è riuscito ad   accettare la morte della figlia, uccisa dal mostro di Firenze.

Si tratta della vera storia di Renzo Rontini che a partire dal 29 luglio del 1984, data dell'uccisione della figlia Pia, ha dedicato tutta la sua vita alla ricerca dei colpevoli dell'omicidio. Renzo Romiti abbandonò il lavoro, era ingegnere navale, per affiancare le indagini dei magistrati e per seguire tutte le udienze del processo che riguardava la figlia. Arrivò a rovinarsi, a perdere la casa per poi morire a causa di un infarto il 9 Dicembre 1989. 

Gli attori: Bebo Storti nei panni del procuratore Pier Luigi Vigna; Giorgio Colangeli in quelli di Michele Giuttari, ex capo della squadra mobile di Firenze; Nicole Grimaudo è il magistrato Silvia della Monica. Pacciani e Rontini saranno invece Massimo Sarchielli e Ennio Fantastichini.

La serie tv Il mostro di Firenze ruoterà intorno alla ricerca della verità da parte di un padre che non si è rassegnato, che vuole scavare a fondo, che non può sopportare che la morte della figlia resti senza colpevoli, come è in verità accaduto: sono stati condannati solo gli esecutori materiali degli omicidi che disseminarono morte e paura nelle campagne intorno a Firenze tra il 1968 al 1985, i mandanti ancora non sono stati identificati e le procure di Firenzee  di Perugia stanno ancora indagando.

 

A Hollywood.

Dall’altra parte dell’oceano Tom Cruise ha acquistato i diritti del libro di Mario Spezi e Douglas Preston Dolci colline di sangue. Il film The monster of Florence più che trattare direttamente il caso dei delitti di Pacciani e compagni (“di merende”), vuole essere una denuncia del pessimo sistema giudiziario italiano.

Quella di Mario Spezi è infatti una vicenda giudicata come una vera e propria vergogna da molti osservatori stranieri. L’allora cronista della Nazione fu accusato di provocare azioni di depistaggio delle indagini e fu anche arrestato per 23 giorni. The guardian giudicò tale arresto come “il più grande abuso contro la libertà di stampa nel mondo occidentale dalla fine della guerra”. Mario Spezi iniziò a seguire piste che la magistratura perugina aveva abbandonato e accusò le indagini ufficiali di essere condotte in modo “sgangherato”. Secondo Mario Spezi i veri colpevoli non erano i “compagni di merende” ma alcuni pastori sardi che vivevano in toscana.

Il film della United Artist darà quindi voce a questa vicenda che, come la serie tv italiana, sarà caratterizzata da questo bisogno di ricerca della “vera verità”, affrontando anche i lati più bui di una storia che di chiaro ha ben poco.

Per avere una idea dettagliata di ciò che è accaduto nei dintorni di Firenze tra il 1968 e il 1985 consiglio di vedere la puntata di Blu Notte di Lucarelli che si è occupata del caso.

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mercoledì 18 marzo 2009

Sicurezza sul lavoro 3

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martedì 17 marzo 2009

"Il minestrone"di Sergio Citti.

Il minestrone è un film grottesco e surreale del 1981, diretto da Sergio Citti, interpretato da Franco Citti, Ninetto Davoli, Roberto Benigni e Giorgio Gaber. Della durata di 160’ e trasmesso in TV diviso in tre episodi, uscì nelle sale ridotto a 104’. La versione che ho visto è quella da 160’.

Con questo film Sergio Citti firma la sua quinta regia dopo Ostia (1971),  Storie Scellerate (1973), Casotto e Due pezzi di pane (1979) e dopo aver fatto esperienza come aiuto regista di Mauro Bolognini (La notte brava, Una giornata balorda), Franco Rossi (Morte di un amico) e cosa ben più importante dopo il lavoro con Pasolini sia come consulente dei dialoghi nei romanzi di borgata (Ragazzi di vita, Una vita violenta) sia come aiuto regista in tutti i suoi film.

Un apprendistato molto particolare e determinante che poi ha dato vita ad esperienze cinematografiche di notevole originalità e sensibilità estetica.

Il minestrone è un film che riprende il tema antico della fame, la fame atavica tipica di maschere della Commedia dell’Arte come Arlecchino e Pulcinella. La fame ontologica, che fa parte del proprio stesso essere e che da sola riesce a spingere e tenere su tutta la narrazione. Il Minestrone è infatti strutturato come un percorso, un viaggio alla ricerca del soddisfacimento di questo bisogno che mai viene placato se non temporaneamente o in modo immaginario. Con questi ultimi due termini mi riferisco a due scene in particolare: il film inizia con Carlo Citti e Ninetto Davoli che come cani cercano cibo nella spazzatura. In prigione incontrano Roberto Benigni, maestro nell’arte di mangiare nei migliori ristoranti e poi “fare il vento”. Una volta fuori si uniscono e vanno ad ingozzarsi in una trattoria ma nell’euforia della fuga cadono in una grossa pozzanghera e vomitano tutto. La seconda scena è quella più famosa del film di Sergio Citti, in cui dopo un lungo vagabondare per le campagne toscane e dopo che la compagnia si è notevolmente allargata, tutti giungono in una spiaggia e in un rudere di un ristorante mettono in scena un finto e lauto pranzo, mimando ogni sorta di leccornia.

Il minestrone è un film che si potrebbe inserire tra il grottesco e il surreale. I comportamenti assurdi e senza spiegazione dei personaggi denotano una realtà altra, un secondo ordine delle cose, un mondo rituale in cui risuonano atmosfere quasi archetipe fatte di paesaggi lunari e desertici. Sembra che nessuno abbia altra ragione di esistere se non quella di procurarsi del cibo, dimenticando i luoghi di appartenenza e gli affetti. Citti, Davoli e Benigni giungono in toscana per sbaglio e niente fa pensare ad un loro bisogno di tornare a Roma dove trovare cibo sarebbe anche più facile. Continuano invece il loro vagabondare nelle campagne toscane che in realtà assumono tutte le caratteristiche di un deserto. I personaggi portano in giro il loro corpo senza avere una meta precisa in quanto l’unica forza che lì spinge è la fame.

Un messaggio che si potrebbe trarre da Il minestrone di Sergio Citti è che la fame scardina ogni ordine sociale e mette in discussione le principali norme di civiltà: per seguire i bisogni dello stomaco un padre è deciso ad abbandonare moglie e figlia e un gruppo di vagabondi non si fanno alcun problema a seguire un Giorgio Gaber spettinato, in vestaglia e flebo, evidentemente matto da legare, che li conduce verso un luogo ignoto da dove gli altri fuggono.

Vai alla scheda del film.

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Ninetto Davoli e Carlo Citti guardano il cielo per la prima volta. Dal film "Il Minestrone" di Sergio Citti.

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lunedì 16 marzo 2009

Lista delle 150 canzoni proibite.

Quella che segue è la lista delle 150 canzoni che non era consigliato trasmettere nelle radio statunitensi all'indomani dell'attentato dell'11 settembre. Per maggiori informazioni sulla vicenda leggi questo articolo.
Tutte queste canzoni erano ritenute offensive nei confronti di tutta la popolazione statunitense in seguito ad un lutto così grave.


“99 Luft Balloons/99 Red Balloons”, Nina;
“A Day in the Life”, The Beatles;
“A Sign of the Times”, Petula Clark;
“A World Without Love”, Peter and Gordon;
“Aeroplane”, Red Hot Chili Peppers;
“America”, Neil Diamond;
“American Pie”, Don McLean;
“And When I Die”, Blood Sweat and Tears;
“Another One Bites the Dust”, Queen;
“Bad Day”, Fuel;
“Bad Religion”, Godsmack;
“Benny & The Jets”, Elton John;
“Big Bang Baby” e “Dead and Bloated”, Stone Temple Pilots;
“Bits and Pieces”, Dave Clark Five;
“Black is Black”, Los Bravos;
“Blow Up the Outside World”, Soundgarden;
“Blowin’ in the Wind”, Peter Paul and Mary;
“Bodies”, Drowning Pool;
“Boom”, P.O.D.;
“Bound for the Floor”, Local H;
“Brain Stew”, Green Day;
“Break Stuff ”, Limp Bizkit;
“Bridge over Troubled Water”, Simon & Garfunkel;
“Bullet with Butterfl y Wings”, Smashing Pumpkins;
“Burnin’ for You”, Blue Oyster Cult;
“Burning Down the House”, Talking Heads;
“Chop Suey!”, System of a Down;
“Click Click Boom”, Saliva;
“Crash and Burn”, Savage Garden;
“Crash Into Me”, Dave Matthews Band;
“Crumbling Down”, John Mellencamp;
“Dancing in the Streets”, Martha and the Vandellas/Van Halen;
“Daniel”, Elton John;
“Dead Man’s Curve”, Jan and Dean;
“Dead Man’s Party”, Oingo Boingo;
“Death Blooms”, Mudvayne;
“Devil in Disguise”, Elvis Presley;
“Devil with the Blue Dress”, Mitch Ryder and Detroit Wheels;
“Dirty Deeds”, AC/DC;
“Disco Inferno”, Tramps;
“Doctor My Eyes”, Jackson Brown;
“Down in a Hole”, Alice in Chains;
“Down”, 311;
“Dread and the Fugitive”, Megadeth;
“Duck and Run”, 3 Doors Down;
“Dust in the Wind”, Kansas;
“End of the World”, Skeeter Davis;
“Enter Sandman”, Metallica;
“Eve of Destruction”, Barry McGuire;
“Evil Ways”, Santana;
“Fade to Black”, Metallica;
“Falling Away From Me”, Korn;
“Falling for the First Time”, Barenaked Ladies;
“Fell on Black Days, Soundgarden”, Black Hole Sun;
“Fire and Rain”, James Taylor;
“Fire Woman”, The Cult;
“Fire”, Arthur Brown;
“Fly Away”, Lenny Kravitz;
“Fly”, Sugar Ray;
“Free Fallin’”, Tom Petty;
“Get Together”, Youngbloods;
“Goin’ Down”, Bruce Springsteen;
“Great Balls of Fire”, Jerry Lee Lewis;
“Harvester or Sorrow”, Metallica;
“Have You Seen Her”, Chi-Lites;
“He Ain’t Heavy, He’s My Brother”, Hollies;
“Head Like a Hole”, Nine Inch Nails;
“Hell’s Bells”, AC/DC;
“Hey Joe”, Jimi Hendrix;
“Hey Man, Nice Shot”, Filter;
“Highway to Hell”, AC/DC;
“Hit Me with Your Best Shot”, Pat Benatar;
“Holy Diver”, Dio;
“I Feel the Earth Move”, Carole King;
“I Go to Pieces”, Peter and Gordon;
“I’m on Fire”, Bruce Springsteen;
“I’m on Fire”, John Mellencamp;
“Imagine”, John Lennon;
“In the Air Tonight”, Phil Collins;
“In the Year 2525”, Yager and Evans;
“Intolerance”, Tool;
“Ironic”, Alanis Morissette;
“It’s the End of the World as We Know It”, R.E.M.;
“Jet Airliner”, Steve Miller;
“Johnny Angel”, Shelly Fabares;
“Jump”, Van Halen;
“Jumper”, Third Eye Blind;
“Killer Queen”, Queen;
“Knockin’ on Heaven’s Door”, Bob Dylan/Guns N’ Roses;
“Last Kiss”, J. Frank Wilson;
“Learn to Fly”, Foo Fighters;
“Leavin’ on a Jet Plane”, Peter Paul and Mary;
“Left Behind, Wait and Bleed”, Slipknot;
“Live and Let Die”, Paul McCartney and Wings;
“Love is a Battlefi eld”, Pat Benatar;
“Lucy in the Sky with Diamonds”, The Beatles;
“Mack the Knife”, Bobby Darin;
“Morning Has Broken”, Cat Stevens;
“Mother”, Pink Floyd;
“My City Was Gone”, Pretenders;
“Na Na Na Na Hey Hey”, Steam;
“New York, New York”, Frank Sinatra;
“Nowhere to Run”, Martha & the Vandellas;
“Obla Di, Obla Da”, The Beatles;
“On Broadway”, Drifters;
“Only the Good Die Young”, Billy Joel;
“Peace Train”, Cat Stevens;
“Rescue Me”, Fontella Bass;
“Rock the Casbah”, The Clash;
“Rocket Man”, Elton John;
“Rooster”, Alice in Chains;
“Ruby Tuesday”, Rolling Stones;
“Run Like Hell”, Pink Floyd;
“Sabbath Bloody Sabbath”, Black Sabbath;
“Sabotage”, Beastie Boys;
“Safe in New York City”, AC/DC;
“Santa Monica”, Everclear;
“Say Hello to Heaven”, Temple of the Dog;
“Sea of Sorrow”, Alice in Chains;
“See You in September”, Happenings;
“Seek and Destroy”, Metallica;
“She’s Not There”, Zombies;
“Shoot to Thrill”, AC/DC;
“Shot Down in Flames”, AC/DC;
“Smokin”, Boston;
“Smooth Criminal”, Alien Ant Farm;
“Some Heads Are Gonna Roll”, Judas Priest;
“Speed Kills”, The Bush;
“Spirit in the Sky”, Norman Greenbaum;
“St. Elmo’s Fire”, John Parr;
“Stairway to Heaven”, Led Zeppelin;
“Suicide Solution”, Black Sabbath;
“Sunday Bloody Sunday”, U2;
“Sure Shot” Beastie Boys;
“Sweating Bullets”, Megadeth;
“That’ll Be the Day”, Buddy Holly and the Crickets;
“The Boy from New York City”, Ad Libs;
“The End”, The Doors;
“The Night Chicago Died”, Paper Lace;
“Them Bone”, Alice in Chains;
“Ticket to Ride”, The Beatles;
“TNT”, AC/DC;
“Travelin’ Band”, Creedence Clearwater Revival;
“Travelin’ Man”, Rickey Nelson;
“Tuesday’s Gone”, Lynyrd Skynyrd;
“Under the Bridge”, Red Hot Chili Peppers;
“Walk Like an Egyptian”, Bangles;
“War Pigs”, Black Sabbath;
“War”, Edwin Starr/Bruce Springstein;
“We Gotta Get Out of This Place”, Animals;
“What a Wonderful World”, Louis Armstrong;
“When Will I See You Again”, Three Degrees;
“When You’re Falling”, Peter Gabriel;
“Wipeout”, Surfaris;
“Wonder World”, Sam Cooke/Herman Hermits;
“Worst That Could Happen”, Brooklyn Bridge;
“You Dropped a Bomb on Me”, The Gap Band;
tutte le canzoni dei Rage Against The Machine.

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