giovedì 30 aprile 2009

"Fabbrica" di Ascanio Celestini. Il teatro epico.

Ieri sera sono andato a vedere Fabbrica  di Ascanio Celestini al Teatro Mangoni di Isola Del Liri e siccome lo spettacolo mi è piaciuto molto e l’autore è uno dei miei preferiti, colgo l’occasione per parlare sia di Fabbrica, sia per esprimere alcune considerazioni sull’arte di Ascanio Celestini e sul teatro epico in generale. L’esperienza è molto fresca e va raccontata per intero.

Lo spettacolo è previsto per le ore 21. Alle otto e mezzo io e l’amico che mi accompagna prendiamo il biglietto e cerchiamo da subito di entrare in sala. Veniamo fermati e ci viene spiegato che ancora stanno montando la scenografia perché “loro” sono arrivati tardi. Dentro di me un po’ sorrido perché conosco le “scenografie” di Ascanio Celestini e so che probabilmente c’è poco da montare.

Ecco quindi una prima caratteristica fondamentale del suo teatro: la scena è sempre fortemente stilizzata e più che rappresentare un luogo suggerisce un’atmosfera. Ma è ovvio che sia così: quello di Ascanio Celestini è un teatro epico basato sul racconto, non sulla rappresentazione. Differenza fondamentale. Il racconto riporta fatti già accaduti. La rappresentazione vuole dare l’illusione che la vicenda si svolga per la prima volta in quel preciso istante, davanti agli occhi degli spettatori. Il racconto ha bisogno solo di una voce capace di riportare con efficacia fatti o realmente accaduti o del tutto inventati. Bisogna avere delle cose da dire e bisogna saperle comunicare con efficacia. Non è facile tenere in teatro centinaia di persone per un’ora e mezza solo grazie alla propria voce.  Ascanio Celestini ci riesce perfettamente mescolando realtà e invenzioni che attingono con disinvoltura al mondo dell’assurdo.

 

“Scenografie mentali”

La scenografia quindi non deve essere descrittiva, ma evocativa.  Ciò accade anche a causa di un’altra importante caratteristica del teatro epico: il ruolo dello spettatore è molto attivo. Il racconto del narratore deve suscitare immagini in chi ascolta, deve stimolare la sua fantasia che completa la narrazione con la propria “scenografia mentale”. Si potrebbe tranquillamente affermare che durante un racconto di Celestini il numero reale  degli spettacoli corrisponde al numero degli spettatori. Ognuno viene stimolato a creare le proprie immagini, a vivere o rivivere emozioni che dipendono dal proprio vissuto. Ognuno si crea il proprio personale spettacolo che non potrà mai essere catturato da alcuna cinepresa, né potrà mai essere comunicato a chicchessia, resterà quindi un fatto eternamente intimo, come i sogni.

Se poi si aggiunge il fatto che è impossibile che Ascanio Celestini racconti Fabbrica sempre allo stesso preciso modo la questione si stratifica ulteriormente. Si possono riconoscere tre momenti quindi: il testo scritto invariabile (in linea di massima); il racconto del testo che varia ogni sera; le innumerevoli variazioni nella testa degli spettatori a loro volata basati sulle variazioni del testo scritto.

 

Inizia il racconto...

Una volta entrati in sala le mie attese non sono state disilluse. Con incredibile ammirazione mi godo la minuta struttura in legno bidimensionale che sorregge quattro lampadine. Una sola è accesa. Sotto la struttura una sedia pieghevole. Nel corso del racconto vedremo Ascanio Celestini accendere le lampadine avvitandole (scopriremo che una di esse è intermittente) e spegnerle svitandole dopo aver passato la punta delle dita sulla lingua per bagnarle, così da non scottarsi. Questi i gesti semplici che accompagnano la voce al microfono.

Inizia il racconto con il ritmo veloce tipico di Ascanio Celestini. L’espediente narrativo è quello di una lettera che il protagonista avrebbe voluto scrivere il 16 Marzo del 1949, giorno del suo primo ingresso in fabbrica. La lettera però la scrive dopo molti anni e questo espediente narrativo ci viene in continuazione ricordato da un “Cara mamma”. Nella sua lettera il protagonista parla della storia della sua fabbrica con voragini temporali che vanno indietro di tre generazioni, fino ai primi del novecento. Si attraversa la Grande Guerra, la nascita del fascismo, la presa del potere di Mussolini e la seconda guerra mondiale. I personaggi vengono dipinti con poche e precise pennellate che li rendono subito riconoscibili e al tempo stesso né fissano le caratteristiche intime fondamentali. I fatti storici realmente accaduti vengono contagiati con elementi surreali e fantastici ma raccontati con tale efficacia che almeno per un’ora e mezza io ci credo.

La forza del racconto è questa: il pubblico ascolta la storia con il naso all’insù è gli occhi spalancati come i bambini e alla fine dello spettacolo, quando Celestini spegne tutte le lampadine, mi viene la voglia di sussurrare “me la racconti di nuovo”?

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