giovedì 30 aprile 2009

"Fabbrica" di Ascanio Celestini. Il teatro epico.

Ieri sera sono andato a vedere Fabbrica  di Ascanio Celestini al Teatro Mangoni di Isola Del Liri e siccome lo spettacolo mi è piaciuto molto e l’autore è uno dei miei preferiti, colgo l’occasione per parlare sia di Fabbrica, sia per esprimere alcune considerazioni sull’arte di Ascanio Celestini e sul teatro epico in generale. L’esperienza è molto fresca e va raccontata per intero.

Lo spettacolo è previsto per le ore 21. Alle otto e mezzo io e l’amico che mi accompagna prendiamo il biglietto e cerchiamo da subito di entrare in sala. Veniamo fermati e ci viene spiegato che ancora stanno montando la scenografia perché “loro” sono arrivati tardi. Dentro di me un po’ sorrido perché conosco le “scenografie” di Ascanio Celestini e so che probabilmente c’è poco da montare.

Ecco quindi una prima caratteristica fondamentale del suo teatro: la scena è sempre fortemente stilizzata e più che rappresentare un luogo suggerisce un’atmosfera. Ma è ovvio che sia così: quello di Ascanio Celestini è un teatro epico basato sul racconto, non sulla rappresentazione. Differenza fondamentale. Il racconto riporta fatti già accaduti. La rappresentazione vuole dare l’illusione che la vicenda si svolga per la prima volta in quel preciso istante, davanti agli occhi degli spettatori. Il racconto ha bisogno solo di una voce capace di riportare con efficacia fatti o realmente accaduti o del tutto inventati. Bisogna avere delle cose da dire e bisogna saperle comunicare con efficacia. Non è facile tenere in teatro centinaia di persone per un’ora e mezza solo grazie alla propria voce.  Ascanio Celestini ci riesce perfettamente mescolando realtà e invenzioni che attingono con disinvoltura al mondo dell’assurdo.

 

“Scenografie mentali”

La scenografia quindi non deve essere descrittiva, ma evocativa.  Ciò accade anche a causa di un’altra importante caratteristica del teatro epico: il ruolo dello spettatore è molto attivo. Il racconto del narratore deve suscitare immagini in chi ascolta, deve stimolare la sua fantasia che completa la narrazione con la propria “scenografia mentale”. Si potrebbe tranquillamente affermare che durante un racconto di Celestini il numero reale  degli spettacoli corrisponde al numero degli spettatori. Ognuno viene stimolato a creare le proprie immagini, a vivere o rivivere emozioni che dipendono dal proprio vissuto. Ognuno si crea il proprio personale spettacolo che non potrà mai essere catturato da alcuna cinepresa, né potrà mai essere comunicato a chicchessia, resterà quindi un fatto eternamente intimo, come i sogni.

Se poi si aggiunge il fatto che è impossibile che Ascanio Celestini racconti Fabbrica sempre allo stesso preciso modo la questione si stratifica ulteriormente. Si possono riconoscere tre momenti quindi: il testo scritto invariabile (in linea di massima); il racconto del testo che varia ogni sera; le innumerevoli variazioni nella testa degli spettatori a loro volata basati sulle variazioni del testo scritto.

 

Inizia il racconto...

Una volta entrati in sala le mie attese non sono state disilluse. Con incredibile ammirazione mi godo la minuta struttura in legno bidimensionale che sorregge quattro lampadine. Una sola è accesa. Sotto la struttura una sedia pieghevole. Nel corso del racconto vedremo Ascanio Celestini accendere le lampadine avvitandole (scopriremo che una di esse è intermittente) e spegnerle svitandole dopo aver passato la punta delle dita sulla lingua per bagnarle, così da non scottarsi. Questi i gesti semplici che accompagnano la voce al microfono.

Inizia il racconto con il ritmo veloce tipico di Ascanio Celestini. L’espediente narrativo è quello di una lettera che il protagonista avrebbe voluto scrivere il 16 Marzo del 1949, giorno del suo primo ingresso in fabbrica. La lettera però la scrive dopo molti anni e questo espediente narrativo ci viene in continuazione ricordato da un “Cara mamma”. Nella sua lettera il protagonista parla della storia della sua fabbrica con voragini temporali che vanno indietro di tre generazioni, fino ai primi del novecento. Si attraversa la Grande Guerra, la nascita del fascismo, la presa del potere di Mussolini e la seconda guerra mondiale. I personaggi vengono dipinti con poche e precise pennellate che li rendono subito riconoscibili e al tempo stesso né fissano le caratteristiche intime fondamentali. I fatti storici realmente accaduti vengono contagiati con elementi surreali e fantastici ma raccontati con tale efficacia che almeno per un’ora e mezza io ci credo.

La forza del racconto è questa: il pubblico ascolta la storia con il naso all’insù è gli occhi spalancati come i bambini e alla fine dello spettacolo, quando Celestini spegne tutte le lampadine, mi viene la voglia di sussurrare “me la racconti di nuovo”?

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mercoledì 29 aprile 2009

Blob, il fluido mortale e i vent’anni del Blob della Rai.

Blob, il noto programma di Rai Tre ha ormai vent’anni. Alcune considerazioni sulla sua tecnica e informazioni sul film di serie B da cui prende ispirazione nel titolo e nelle scene famose della fuga dal cinema. Si tratta di un film grezzo e pieno di errori, ma di grande fascino, Blob, il fluido mortale, 1958. Ho visto questo film l’altro ieri sera e fatte un po’ di ricerche ho scoperto cose molto interessanti e anche divertenti.


Rai Tre: Blob di Enrico Ghezzi e Marco Giusti.

Sono vent’anni ormai che più o meno alle otto di sera scorrono sullo schermo del televisore sintonizzato su Rai Tre, degli spezzoni di tv montati tra loro secondo logiche che apparentemente non hanno senso. In alto a sinistra inconfondibili titoli in cui il colore prevalente è il rosso. Poi c’è una colonna sonora che subito riconosciamo e che richiama atmosfere da film dell’orrore. Spesso siamo abituati ad una strana sostanza gelatinosa rossa che esce fuori da una grata e ad una folla terrorizzata che scappa da un cinema. Il titolo della trasmissione (quasi mi vergogno a ricordarlo) è Blob, di Enrico Ghezzi e Marco Giusti.

Di Blob ricordo una immagine molto nitida di quando ero bambino: un omone grande e grasso vestito da macellaio che affonda la sua mannaia nel ceppo. Quando si è bambini non si capisce nulla di Blob (e nemmeno molti adulti). Adesso ritengo che sia uno dei migliori programmi di tutta la televisione. Però siccome considero che la televisione sia poco più di un cesso in cui la gente vomita la propria noia, oltre Blob e una manciata di minuti di altre trasmissioni è difficile scansare i cattivi odori senza dover abbassare la tavoletta. 

Blob è una magnifica prova di forza del montaggio. La tecnica che viene usata di più è l’accostamento di sequenze che se prese singolarmente hanno un senso, se vengono affiancate ne assumono un altro che non ha nulla a che vedere con le immagini mostrate. Faccio un esempio: prendo l’immagine di un politico, poi quella di un porcile. Prese singolarmente restano l’una l’immagine di un politico, l’altra quella di un porcile. Ma se le monto insieme il messaggio diventa come per magia “Guardate come sono porci i politici”. Il fatto poi che la gente non percepisca il messaggio opposto (“guardate come sono puliti i maiali”) lascia da pensare…


Il film: Blob, il fluido mortale.

Ora passiamo al film. Blob, il fluido mortale è un film del 1958 diretto da  Irvin S. Yeaworth Jr., con Steve McQueen. Si tratta del primo film importante del grande attore statunitense. La trama è molto semplice: da una meteorite caduta sulla terra fuoriesce una strana massa gelatinosa che prima attacca un uomo e poi si ingrandisce progressivamente fino a minacciare un’intera cittadina. Alcuni giovani si accorgono del pericolo, danno l’allarme ma non vengono creduti fino a che la massa invade un cinema ed esce allo scoperto.

Blob, il fluido mortale è un tipico filmaccio di serie B. Uso il termine “filmaccio” nel modo più tenero possibile e non in senso dispregiativo. Si vede fin dalle prime inquadrature che il budget deve essere stato molto basso: girato per intero in un teatro di posa, è immerso in una lunghissima notte in cui i personaggi vengono illuminati non si sa bene da cosa e oltre i quattro metri d’altezza non si vede più nulla, l’oscurità serve probabilmente a non far vedere le pareti interne dei capannoni in cui il film è girato. Gli effetti speciali sono davvero approssimativi e denunciano apertamente la loro finzione. Quando la massa gelatinosa attacca il cinema e il fastfood si vede chiaramente che si tratta di modellini.

Ci sono inoltre una serie interminabile di errori molto grezzi: durante una corsa in macchina a marcia indietro, il fumo invece di uscire dal tubo di scappamento entra, facendo intuire che la scena è stata girata in senso normale e poi mandata indietro per dare l’illusione che le auto andassero a marcia indietro.

In un dialogo tra Steve McQueen e la sua fidanzata si vede del fumo di una sigaretta uscire da dietro la schiena dell’attore: il capriccio di una star che voleva fumare mentre recitava?

Durante la famosa fuga dal cinema si vede chiaramente che alcune persone, prese dal terrore, ridacchiano e si nota anche la presenza di un tecnico davanti al botteghino che cerca invano di nascondersi.

C’è da dire pero che queste ruvide disattenzioni e approssimazioni nelle riprese sono tipiche dei film di serie B e anzi, ne accrescono il fascino e il loro appeal tipico del cinema cult.

Un elemento degno di nota è che l’alieno che minaccia la vita sulla terra non ha le sembianze antropomorfe che di solito vengono loro attribuite, ma ha una forma mutabile e indefinita di cui non si sa nulla. In effetti se ci si pensa, per quale motivo gli alieni dovrebbero avere due braccia, due gambe, due occhi, un naso? Al limite gli viene tolta la bocca perché comunicano direttamente con il cervello. Sicuramente la scelta dell’ignoto è migliore e dovrebbe essere presa come esempio.

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martedì 28 aprile 2009

Trasfert e From the Drain: i primi due film di David Cronenberg.

Dopo i due articoli sulla vita di David Cronenberg con Trasfert e From the Drain iniziamo la “carrellata” dei suoi film. Si tratta di due cortometraggi (7 minuti il primo e 14 minuti il secondo) rispettivamente del 1966 e del 1967 e rappresentano le primissime esperienze di regia di David Cronenberg. Oggi queste due pellicole sono introvabili perché come ha dichiarato lo stesso Cronenberg «come Trasfert, From the Drain è un altro viaggio tortuoso di un regista adolescente. Goffo, mal fatto anche dal punto di vista tecnico. Ho cercato di eliminare la pellicola e di accertarmi che non ce ne fossero copie disponibili in giro». Si tratta quindi di lavori molto acerbi, influenzati dalle opere di Samuel Beckett, che però contengono allo stato germinale i temi del cinema di David Cronenberg. Vediamo in dettaglio di cosa stiamo parlando.

Come già citato nella sua biografia queste prime esperienze derivarono da una sorta di folgorazione che David Cronenberg ricevette dal fatto che un suo amico dell’università avesse girato un film. Lo stesso Cronenberg parla dell’«effetto stupefacente che ebbe su di me un film realizzato da un mio compagno di studi. […] In questo film, che era molto dolce, recitavano i miei compagni di studio; era girato a Toronto, all’università, ed erano ripresi luoghi e scenari che io attraversavo ogni giorno. Era elettrizzante. […] Io mi sono detto: ‘devo assolutamente provare!’. »

Decide quindi di investire 300 dollari canadesi e di iniziare le riprese di Trasfert in cui è sceneggiatore, regista, fotografo, cameraman e montatore. Gli attori sono Mort Ritts e Rafe Macpherson, due amici. Il film «parla di uno psichiatra che è seguito dal suo paziente ovunque vada, perché il paziente crede che il loro rapporto sia l’unica cosa che per lui abbia mai avuto qualche significato. […] C’è un elemento surrealista che non collima abbastanza con quello psicologico; tecnicamente è piuttosto sbilanciato». L’elemento surrealista di cui parla Cronenberg è presente già nell’ambientazione: il dialogo tra il paziente e lo psichiatra avviene ad un tavolino  immerso in una distesa di neve. Il paziente inventa parti della sua vita per godere delle reazioni del suo psichiatra.

I mezzi con cui David Cronenberg gira il successivo From the Drain (Dal tubo di scolo) sono gli stessi: il budget è di poco superiore (500 dollari canadesi), gli attori sono sempre due suoi amici (Mort Ritts e Stefan Nosko) e David Cronenberg si occupa della sceneggiatura, della regia, della fotografia delle riprese e del montaggio.

From the Drain è ambientato in un imprecisato futuro in cui due veterani di guerra parlano seduti in una vasca da bagno completamente vestiti. Non si sa di quale guerra si tratti ma i due dialogano a proposito di armi chimiche e biologiche. Ad un certo punto però dal tubo di scarico della vasca da bagno esce una pianta rampicante che strangola uno dei due personaggi. A questo punto l’altro gli toglie le scarpe e le ripone in un armadio pieno di altre scarpe. Si capisce che il malcapitato è caduto in un indecifrabile complotto che ha lo scopo di eliminare tutti i veterani di quella indefinibile guerra.

Qui è anche evidente la condivisione e l’approfondimento di temi cari ad uno scrittore che Cronenberg ama particolarmente, cioè William Burroughs che spesso aveva indagato la tematica del complotto. Un altro scrittore che ha influenzato i due lavori è il già citato Samuel Beckett, paragone che deriva dallo stesso Cronenberg che ha definito Trasfert e From the Drain come «schizzi surrealisti per due persone».

Altre influenze possono inoltre essere ricercate tra i registi underground americani che Cronenberg amava molto: Jonas Mekas, Ed Emshwiller, Andy Warhol e Kenneth Anger.

 

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lunedì 27 aprile 2009

La vita di Konstantin Stanislavskij (Seconda parte). Il Teatro d’arte di Mosca, le sperimentazioni e il Sistema.

Nel continuare questa storia di Stanislavskij (nella prima parte mi ero fermato all’incontro con Dancenko) affronterò  il primo periodo più strettamente naturalista del Teatro d’Arte, le sperimentazioni di Stanislavskij e la nascita del suo famoso Sistema. Cercherò il più possibile di evidenziare le sue forti tendenze alla sperimentazione con l’intenzione di abbattere i luoghi comuni che circondano la sua figura e che dipingono uno Stanislavskij unicamente attento al naturalismo e allo psicologismo.

 

Naturalismo.

Il primo spettacolo del Teatro d’arte di Mosca avvenne il 14 ottobre del 1898 e si trattò di Zar Fëdor Ioannovic di Tolstoj. Si trattò di un grande inizio: lo spettacolo suscitò grande meraviglia grazie alla precisione della ricostruzione scenica. Questo primissimo periodo è infatti fortemente influenzato dal naturalismo dei Meiningen che Stanislavskij aveva visto nella loro seconda tournée a Mosca nel 1890. Per questo spettacolo Stanislavskij consultò annali, incisioni, libri, visitò rigattieri per cercare oggetti, ricami e ornamenti. Tutto doveva servire ad una ricostruzione storica completa. Questa forte tendenza all’oggettività e al realismo lo portarono a visitare i quartieri malfamati per mettere in scena Bassifondi di Gor’kij, a recarsi nel governo di Tula per La potenza delle tenebre di Tolstoj in cui fu usato del fango vero nella messa in scena. Trovate del genere rischiavano però di risultare bizzarre.

Anton Cechov fu uno di quelli che meno sopportavano le invasioni di rumori e oggetti nelle scene del teatro d’Arte. A partire dalla famigerata messa in scena del suo Gabbiano, del 17 dicembre del 1898, Anton Cechov divenne il drammaturgo simbolo del Teatro d’Arte. Qui bisogna dare il merito di tutto anche a Dancenko: fu lui che lottò contro le perplessità di Stanislavskij per mettere in scena Il Gabbiano. D’altra parte fu la geniale regia di Stanislavskij a decretare il successo dell’opera che era già stata messa in scena a teatro Aleksandrinskij, riscuotendo un notevole fiasco. Nelle sue note di regia Stanislavskij aveva creato un fitto ricamo di suoni, di rumori e aveva fornito la scena di numerosi oggetti che interagivano con gli attori in un perfetto connubio tra corpo umano e scenografia. Riuscire a tradurre l’atmosfera delle opere di Cechov era un impresa ardua per il vecchio teatro. Questa nuova drammaturgia richiedeva un nuovo teatro e il lavoro di Stanislavskij e Dancenko riuscì dove altri avevano fallito.

 

Periodo simbolista.

Cechov morì nel 1904, dopo aver scritto altri tre drammi (Zio Vanja, Tre sorelle e Il giardino dei ciliegi ). La sua morte colpì il Teatro d’Arte all’apice del successo e fu un duro colpo sia umano che professionale.   Stanislavskij fu preso da un forte bisogno di trovare nuove strade. Creò cosi un teatro-studio di sperimentazione e lo affidò a Mejerchol’d, un attore che aveva recitato nei primissimi spettacoli  del teatro d’Arte ma che nel 1902 aveva abbandonato la compagnia. Lo studio inizio l’attività nella primavera del 1905 e fu davvero importante per lo sviluppo delle idee di Mejerchol’d in favore di un teatro antinaturalistico che prese poi il nome di “teatro della convenzione”. Ma le sperimentazioni di Mejerchol’d non convinsero Stanislavskij e il lavoro non andò oltre la prova generale de La mort de Tintagiles del drammaturgo simbolista Maeterlinck.

Nonostante tutto questi esperimenti lasciarono il segno e a partire da quel periodo anche lo stesso Stanislavskij iniziò a sfruttare procedimenti antinaturalistici tipici del simbolismo di Mejerchol’d: figure disposte come fossero bassorilievi (senza la profondità della terza dimensione), immobilità, ombre cinesi, camere oscure. Stanislavskij unì la sua forte sensibilità verso gli aspetti psicologici agli stratagemmi, ai trucchi del teatro irreale e persino metafisico. Tanto per fare un esempio fece uso del principio “nero su nero scompare”: delle comparse vestite di nero portavano dei bastoni neri su uno sfondo di velluto nero; all’apice dei bastoni venivano raffigurati dei pianeti lucenti che sembravano volteggiare sulla scena.

Questa vena simbolista fu però frenata dalle consuetudini del Teatro d’Arte che era ormai legato in modo indissolubile alla sua prima e incredibile stagione naturalista. Si creò a questo punto una frattura tra la compagnia e le tendenze sperimentali di Stanislavskij e i rapporti con Dancenko iniziarono a deteriorarsi. La delusione causata dal fallimento del teatro-studio lo portarono ad un ripensamento radicale del suo essere regista: sconfessò la sua precedente idea di regista-despota che pianifica tutto in anticipo e usa gli attori come marionette e iniziò a riflettere proprio sul mestiere dell’attore che da passivo esecutore diventò creatore. Iniziò a porre le basi del suo famoso Sistema (che sarà oggetto di un articolo a parte).

Stanislavskij iniziò a proporre spettacoli simbolisti come L’uccellino azzurro di Maeterlinck nel 1908 e nel 1909 Un mese in campagna di Turgenev. Agli attori venivano insegnati i principi base del Sistema, il piano di regia non era più così dettagliato come prima e le scenografie divennero stilizzate e spoglie. Gli spettacoli ebbero successo e Dancenko sembrò rivalutare la nuova via intrapresa da Stanislavskij. Ma fu solo una pace momentanea: ormai la spaccatura non era facile da rimarginare anche perché Stanislavskij iniziò ad allontanarsi dal Teatro d’Arte per dedicarsi meglio alla sua attività teorica e a sviluppare il Sistema.

 

L’attività pedagogica.

Stanislavskij iniziò ad insegnare agli attori i principi del suo Sistema e creò un primo studio nel 1912 con il suo collaboratore Suleržickij. Le esigenze della messa in scena passarono in secondo piano per una maggiore concentrazione sulla sperimentazione e lo studio, sono i principi fondamentali di un laboratorio. Il senso di tale lavoro non sta infatti nello spettacolo finale ma in tutto il percorso di ricerca e nelle cose che si imparano. Ci furono altri tre “studi” nel 1913, nel 1916 e nel 1920 (sorto in realtà nel 1914 ma inserito nell’ambito del Teatro d’Arte nel 1920). Alla base di questi laboratori c’è sempre il Sistema di Stanislavskij. Da queste esperienze vennero fuori attori importanti tra i quali è importante ricordare: il regista Evgenij Vachtangov e Michail Cechov, nipote dello scrittore.

Stanislavskij applicava i principi del suo sistema anche sul proprio lavoro di attore e nel 1917 avvenne la rottura definitiva con Dancenko: Stanislavkij doveva recitare nel Villaggio di Stepančicovo, da Dostoevskij, e non riescì a dar vita al personaggio perché perse troppo tempo negli esercizi preliminari. Dancenko decise così di sostituirlo. La carriera di attore è praticamente finita perché non reciterà più personaggi nuovi limitandosi solo ai suoi “cavalli di battaglia”.

 

Dopo la rivoluzione.

Nel 1917 scoppiò la rivoluzione ma il Teatro d’Arte continuò la sua attività e nel 1922-1924 intraprese una trionfale tournée in Europa e negli Stati Uniti durante la quale Stanislavskij diede alle stampe la sua autobiografia: La mia vita nell’arte (1924).

Nel 1928 il Teatro d’arte festeggiò il trentennale della sua fondazione riproponendo i migliori successi. Durante Tre sorelle Stanislavskij ebbe un infarto che lo costrinse a smettere del tutto di recitare, continuando però l’attività di regista, insegnante e teorico del teatro. In particolare insegnò allo Studio d’arte drammatica del Bol’šoj, fondato nel 1918 e riservato solo ai cantanti lirici. Iniziò la stesura dei volumi fondamentali che raccolgono il suo Sistema: Il lavoro dell’attore su se stesso e Il lavoro dell’attore sul personaggio.

Quando morì, nel 1938, lasciò incompiuta una regia per il Rigoletto (nell’ultimo periodo la sua attenzione si spostò verso la lirica) e una sua esplicita volontà che designava il suo vecchio allievo Mejerchol’d come futura guida dello Studio del Bol’šoj, che intanto era diventato studio Stanislavskij. Fu un gesto generoso verso un artista caduto in disgrazia a causa del regime. Ma non servì a nulla: Mejerchol’d fu fucilato due anni dopo.

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giovedì 23 aprile 2009

Il cinema di David Cronenberg. La vita e i film parte seconda..

Dopo La Mosca David Cronenberg si afferma come uno dei migliori registi in circolazione e i budget dei suoi film saranno molto più alti, senza però raggiungere mai i livelli di Hollywood. Ai suoi film parteciperanno attori famosi e riceveranno moltissimi premi.

Il 1988 è l’anno di uno dei film di Cronenberg che a me piacciono di più, Inseparabili. Il film è basato sulla storia vera di Stewart e Cyril Marcus, due gemelli monozigotici, entrambi ginecologi, che nel 1975 morirono per un overdose di eroina a cinque giorni l’uno dall’altro. Trovare gli attori protagonisti fu un’impresa difficile perché non tutti erano disposti a rischiare la loro carriera in un film così controverso. Ma alla fine Jeremy Irons accetta di interpretare entrambi i ruoli. La produzione era contraria a questo cocktail di sesso, ginecologia e tossicodipendenza dai risultati molto opprimenti, avrebbero voluto una trama più leggera. Alla fine il film, prodotto da Marc Boyman dopo la rinuncia della De Laurentis Entertainment, viene portato a termine con  un budget di 9 milioni di dollari.

Nel 1991 David Cronenberg gira un film basato su un romanzo di uno dei suoi scrittori preferiti, William Burroughs. Si tratta di Il pasto nudo, scritto nel 1959. Il libro è un rifiuto dei canoni narrativi classici e risulta difficile da sceneggiare. Anche Kubrick ci aveva pensato. Cronenberg ne fece un’allegoria del processo e dei pericoli della scrittura e il risultato è un film straordinario e pluripremiato. Il film doveva essere girato a Tangeri, dove era ambientato il romanzo di Borroughs, ma una settimana prima dell’inizio delle riprese scoppia la guerra del golfo e il Marocco viene ricreato a Toronto. Il Budget è di 17 milioni di dollari e il produttore è l’inglese Jeremy Thomas.

Nel 1992 Cronenberg realizza M. Butterfly e per la prima volta gira un film all’estero, in Cina, Ungheria e Francia.

Dopo una pausa in cui appare come attore in 5 film, intraprende la versione cinematografica di un altro romanzo, Crash di Ballard. Ne risulta un film a tratti scioccante, audace e innovativo secondo la giuria di Cannes e con il più alto incasso del 1996. Si scatenarono campagne contro il film sia in America che in Inghilterra da parte di minoranze conservatrici. I finanziatori furono la Alliance Communication e Jeremy Thomas. La UGC francese abbandonò il progetto dopo aver letto il copione.

Nel 1999 David Cronenberg gira eXistenZ (leggi l'articolo). Il film è la prima sceneggiatura originale del regista dai tempi di Videodrome e era ispirata alla fatwa musulmana contro Salman Rushdie, autore de I versi satanici.  L’idea era quella di un artista inseguito da gruppi repressivi. Ovviamente il film prese altre direzioni, ma questo tema della repressione contro una presunta minaccia è rimasto. Il film ottenne giudizi positivi e anche dei discreti guadagni ma si può definire meno scandalizzante e scioccante dei precedenti film.

Nel 2002 è la volta di Spider, un film basato su un romanzo di Patrick McGrath che ne ha scritto anche la sceneggiatura. Si tratta di un viaggio da incubo nella mente schizofrenica del suo protagonista in cui realtà e memoria non seguono gli stessi principi e non portano agli stessi esiti. Un film difficile e complesso che ha ricevuto numerosi premi tra cui un Genie Awards come miglior regia.

Nel 2005 Cronenberg gira un film basato su un graphic novel di John Wagner e Vince Locke (in Italia Una Storia violenta), A History of Violence. Il film è basato sull’idea del passato nascosto di un uomo che quando viene a galla distrugge tutti i delicati equilibri di una tranquilla famiglia americana. Per quanto noi crediamo di conoscere una persona può sempre accadere che emergano tratti che ci erano ignoti e che possono anche essere sconvolgenti. In definitiva non si può affermare con certezza che la realtà in cui viviamo sia vera, perché potrebbero sempre rivelarsi degli aspetti nascosti di cui non eravamo a conoscenza. Anche questo film ha ricevuto numerosi premi.

Il suo ultimo film è stato La promessa dell’assassino del 2007 in cui Croneneberg ha diretto per la seconda volta Viggo Mortensen (dopo A History of Violence) e il per il 2010 è prevista l’uscita di The Matarese Circle con Tom Cruise e Denzel Washington.  

 

Filmografia di David Croneneberg (da wikipedia)

Prima parte di questo articolo.

Un documento imperdibile: video-intervista di Enrico Ghezzi a David Cronenberg. 

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mercoledì 22 aprile 2009

Il cinema di David Cronenberg. La vita e i film parte prima.

David Cronenberg è uno dei registi più originali degli ultimi trent’anni. I suoi film sono legati gli uni agli altri da tematiche e ossessioni ricorrenti che danno a tutto il cinema di Cronenberg una insolita omogeneità e compattezza. David Cronenberg è il regista filosofo che ha indagato molteplici aspetti della realtà e della surrealtà, con pellicole fantascientifiche e spesso quasi divinatorie in cui è quasi sempre riconoscibile il tema della mutazione. I suoi film sono pieni di immagini scabrose e incredibili esplosioni di violenza che descrivono il lato più oscuro e perverso dell’umano. In questo articolo verranno delineati i tratti fondamentali della biografia di David Cronenberg per poi analizzare ogni singolo film. Ho diviso l’articolo in due parti: la prima arriva fino al film La mosca, quando Cronenberg è ancora un regista di serie B; grazie a questo film i budget diventano più alti e accede alla serie A, argomento della seconda parte.

David Cronenberg nasce il 15 marzo del 1943 a Toronto. Riceve un’educazione umanistica dal padre giornalista e scrittore e dalla madre pianista. Inizia subito a manifestare le sue attitudini scrivendo brevi racconti fin dall’infanzia e nel corso della sua adolescenza.

Si iscrive all’Università nel 1963 e dopo un viaggio in Europa viene contagiato dal germe del cinema. Viene colpito dal fatto che un suo amico dell’università è riuscito a girare un film insieme ad amici comuni. Cronenberg ne risulta impressionato e inizia a studiare l’arte del cinema sui libri e frequentando la Canadian Motion Picture Equipment Company.

Nel 1966 riesce a girare con 300 dollari il suo primo cortometraggio in 16mm, Trasfer. Gli attori sono suoi amici. Un anno dopo gira con un budget di 500 dollari From the Drain.

Dopo queste primissime esperienze riesce a racimolare i soldi per il suo primo lavoro di una certa importanza. Riceve una sovvenzione di 3.500 dollari e gira Stereo, un film basato sulla telepatia che gli costa però 8.500 dollari. Siamo nel 1969 e Cronenberg fa ancora tutto da solo: sceneggiatura, regia, fotografia e montaggio. Il film viene acquistato dalla International Film Archives di New York per 10.000 dollari e viene proiettato al Museom of Modern Art. Nel 1970 con 15.000 dollari gira Crimes of the Future, sempre in modo autonomo e solitario.

Dopo un altro viaggio in Europa David Cronenberg, alla ricerca di una casa di produzione, entra in contatto con la Cinepix che si occupa di film erotici. Inizialmente la Cinepix è interessata a Cronenberg per produrre film erotici ma poi il regista presenta una sceneggiatura in cui il sesso si fonde con l’horror che impressiona positivamente i produttori. Dopo una battaglia per trovare i fondi si iniziano le riprese a Montreal de Il demone sotto la pelle, con un budget di 180.000 dollari. Il film ottiene molto successo a Cannes e nonostante venga giudicato una porcheria da molti giornalisti, ottiene degli incassi clamorosi: 5 milioni di dollari!

Dopo due spettacoli di 30 minuti per la serie “Peepshow” della CBS, The Victim e The Lie Chair, David Cronenberg inizia a mettere le mani al suo nuovo lavoro: Rabid – Sete di sangue. Diverse polemiche furono provocate dalla scelta di ingaggiare la pornostar Marilyn Chambers come protagonista, ma questa intuizione ebbe successo e il film, uscito nel 1976, a fronte di un budget di 530.000 dollari ne guadagna 7 milioni.

Nel 1978 Cronenberg dirige il primo film basato su una sceneggiatura non sua, si tratta di Veloci di Mestiere, sul tema delle gare automobilistiche e prodotto da Michael Lebowitz. Il film è un’eccezione nella produzione del regista canadese: sono assenti sia i temi sia lo stile tipici di Cronenberg. Si tratta di un film un po’ a parte rispetto all’intera filmografia.

Dopo questa esperienza David Cronenberg prepara una sceneggiatura con alcuni caratteri personali e autobiografici rispetto alla sua difficile vita matrimoniale. Si tratta di Brood (La covata malefica), del 1979. Il film costa 1.400.000 dollari e riscuote un certo successo di critica e di botteghino.

Tra il 1980 e il 1983 David Cronenberg realizza tre importanti lavori che hanno come base il tema delle capacità mentali uniche, ossia di cervelli con super-poteri e di alterazioni della mente. In Scanners (1980) alcuni esseri particolarmente dotati riescono a leggere la mente altrui. In Videodrome (1982) un programma televisivo con contenuti violenti e osceni provoca delle allucinazioni perché un effetto collaterale del segnale televisivo provoca un tumore al cervello. Questo film non ebbe molto successo nonostante le critiche positive. Andy Warhol lo definì come “L’arancia meccanica degli anni ‘80”. In La zona morta (1983), da un romanzo di Stephen King, il protagonista ha il potere di prevedere il futuro. La zona morta fu prodotta da Dino De Laurentis con un budget di 10 milioni di dollari, riscosse un grande successo di critica.

A questo punto il ventaglio delle possibili scelte è molto ampio. Cronenberg abbandona il progetto di una commedia sugli insetti e inizia a lavorare per Atto di forza. Dopo un anno e 12 stesure della sceneggiatura abbandona anche questo progetto che come è noto verrà portato a termine da Paul Verhoeven.

1986 - Dopo una breve apparizione in Tutto in una notte di Landis viene contattato da Mel Brooks per dirigere un remake del film di Kurt Neumann L’esperimento del dottor K, del 1958. Cronenberg accetta e gli vengono affidati 10 milioni di dollari dalla Brooksfilms e la 20th Century Fox. Riscrive in parte la sceneggiatura e affida a Jeff Goldblum la parte di protagonista. Diede così alla luce uno dei suoi film più famosi, La mosca. Il film ebbe degli incassi eccezionali che permisero a David Cronenberg di entrare nel regno dei registi di serie A.

Fine della prima parte.

Seconda parte.

Guarda l'intervista a David Cronenberg di Enrico Ghezzi.


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lunedì 20 aprile 2009

La vera musica dei Red Hot Chili Peppers: quando sapevano suonare.

Mi concedo un articolo un po’ personale, nel senso che traggo spunto dai miei gusti musicali per trattare un argomento che può interessare anche ad altri. In particolare vorrei parlare un po’ dei Red Hot Chili Peppers. So che molti ritengono questa famosa band californiana come adatta ad un pubblico adolescenziale ma io vorrei soffermarmi sui loro primi e davvero originali lavori. Attraverso i miei ricordi cercherò di consigliare alcuni ascolti e di dare informazioni sulla band.  Era un articolo che avevo intenzione di scrivere da un po’ di tempo, ma ho sempre rimandato. Poche ore fa però su facebook compare un link che riporta il testo della nota canzone dei Red Hot Chili Peppers, Under The Bridge, ciò mi ha spinto a scrivere questo articolo (ringrazio Francesca).

La nota personale è che ho iniziato ad ascoltare musica proprio con i Peppers: un amico del liceo che tra l’altro mi stava molto antipatico, mi fece sentire Californication. Da lì iniziai ad ascoltare musica. Fine della nota personale. Ora ritengo Californication come uno dei loro peggiori lavori. E’ gradevole e a me le cose gradevoli fanno senso. Per non parlare di By The Way che ho comprato per dovere ma non lo ascolto da anni. Ciò che hanno fatto dopo non mi ha più interessato.

A volte però riascolto con piacere i loro primi lavori che furono molto innovativi e originali e letteralmente graffianti. Parlo ovviamente dell’epoca in cui giravano completamente nudi coperti da un calzino lì dove serviva. Riprendo in mano i loro album per avere le idee più chiare. L’ordine è quello in cui li tengo nella mia libreria.

La prima cosa che noto è che la custodia di By The Way è vuota, chissà che fine ha fatto il CD, poco male. Poi viene il famoso Californication che è masterizzato, però all’interno del CD audio TDK c’è il booklet originale, sicuramente l’ho fregato a quell’amico che mi stava antipatico.

Storcendo il naso passo oltre e mi trovo finalmente davanti la stupenda copertina di Mother’s Milk, del 1989, dedicato alla memoria di Hillel Slovack, chitarrista fondatore del gruppo nel 

1983 e morto per un’overdose di eroina nel 1988. Subito mi viene in mente il video di Fight Like A Brave in cui il gruppo cade dal nulla in un quartiere malfamato pieno di puttane e malfattori e durante l’assolo di Slovack compaiono dipinti con una pittura fluorescente dall’incredibile effetto. Subito cerco il video su youtube e ve lo propongo.

Mothers Milk vede già l’apparizione di Frusciante alla chitarra e Chad Smith alla batteria. L’album contiene una bellissima canzone sempre dedicata a Hillel Slovack e dal titolo Knock Me Down (guarda il video), una canzone contro la droga, con un incredibile basso di Flea (che imparò a suonarlo dallo stesso Slovack). Nell’album è da ricordare anche una cover di Fire di Jimi Hendrix, registrata quando Slovack era ancora in vita e Jack Irons stava ancora alla batteria (il nucleo originale era composto da Kiedis, Flea, Irons e Slovack).

Subito dopo compare la raccolta What hits!? del 1992, che raccoglie semplicemente delle canzoni precedenti. Diverso è il caso di Out in l.a, sempre una raccolta che però contiene anche delle versioni remix che non mi piacciono affatto, comunque inedite e un simpatico live in cui eseguono una sorta di filastrocca dal titolo F.U (Fuck You). A dire la verità qui un po’ mi annoio.

Subito dopo viene una vera e propria pietra miliare: Blood Sugar Sex Magic, del 1991. Si tratta di un album davvero bello in cui spiccano la celebre Under The Bridge e Give It Away, famosa per il suo bel video (che purtroppo non ho trovato). Si tratta di un album molto corposo (17 canzoni) e dalle notevoli sfaccettature. Ovviamente è ancora predominante il funk che esplode sempre nei notevoli virtuosismi di Flea al basso.

Più si torna indietro più gli album sono aspri e incredibilmente provocatori. E’ questo il periodo che più amo. Slovack è ancora vivo e sulle copertine degli album c’è un triangolino giallo con un punto rosso al centro. Si tratta di materiale pericoloso, “cari genitori tappate le orecchie ai vostri figli”. 1985: Freaky Styley. L’album inizia con una canzone dal titolo esemplificativo: The Jungle Man. Le atmosfere sono squisitamente funk, basti pensare alle trombe di Hollywood. 

Una canzone stupenda che sto sentendo ora è If You Want To Me Stay, cover dell’omonima canzone degli  Sly & the Family Stone, del 1973. Non mancano frecciate alla religione come in Catholic School Girls Rule. Quello che mi interessa sottolineare è la vena anarchica che sostiene il sound di questi lavori che possono sicuramente piacere ad un minor numero di persone rispetto a Californication o By The Way.

Lo stesso discorso vale per quanto riguarda The Umplift Mofo Party Plan, del 1987 e per il loro primo album: The Red Hot Chili Peppers, che fu un fiasco commerciale e che ora mi accorgo di non avere più, chissà che fine ha fatto.

Resta fuori un altro stupendo lavoro che non ho preso in considerazione perchè lo acquistai in formato musicassetta e quindi non è presente tra i CD. Si tratta di One Hot Minute che vide l’assenza di Frusciante sostituito da Dave Navarro dei Jane’s Addiction. Si tratta di un album molto bello e dallo stile del tutto inedito in cui il peso di Navarro si fa sentire.

Spero di aver attizzato le orecchie di chi conosceva la band solo da Californication in poi, alcuni forse resteranno indifferenti, ad altri non piacerà affatto ciò che facevano negli anni ottanta, ad altri poi rischia di schiudersi un mondo davanti. 

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Analisi del film "Nostra Signora dei Turchi" di Carmelo Bene. Il rifiuto della trama.


Lo scontro con il cinema di Carmelo Bene (terza parte).


Il rifiuto della trama.


Un altro importantissimo elemento che caratterizza l’entità dello scontro di cui si è parlato all’inizio della trattazione è il rifiuto della trama.

Nostra Signora dei Turchi non segue un comune schema narrativo. Non possiede una trama attraverso cui si racconta qualcosa. Tutto il film sembra una concatenazione di scene indipendenti tra loro, un amalgama senza principio di causalità, senza che si possa rintracciare un percorso temporale ben determinato.

Infatti Carmelo Bene non utilizza alcuna sceneggiatura sebbene il film abbia due antecedenti: l’omonimo  “perverso romanzo della idiolessi” e la variante teatrale del 1966.

I motivi di questo rifiuto sono ben delineati dallo stesso Carmelo Bene in varie interviste e interventi. Alla base c’è la differenza tra teatro/cinema e spettacolo.

Il teatro e il cinema sono espressione, lo spettacolo è comunicazione.

La costruzione di trame coinvolgenti, precise architetture con i pesi e i contrappesi giusti, servono solo a intrattenere gli anziani (come spiega Carmelo Bene nella conferenza stampa per la Biennale di Venezia del 1989), per mezzo di una sorta di cinema /teatro assistenziale, è cioè spettacolo.

Il rifiuto di un testo predeterminato rientra nella distinzione, che sta alla base della poetica di Carmelo Bene, tra “dire” e “detto”. Il rifiuto dell’attore che ripete a memoria un testo scritto da un altro autore (il già detto appunto), è nettamente rifiutato. Carmelo Bene si definisce un attore del “dire”, che produce “scrittura di scena”, ossia un attore che non mette in scena la rappresentazione di un’azione, ma l’azione stessa. Un attore che vive sulla scena come nella vita reale.

 

Un altro aspetto della questione è più complesso e forse più determinate.

La trama è fatta di un inizio e una fine ben determinati. L’attenzione dello spettatore è condotta verso la risoluzione della vicenda narrata o rappresentata, è condotta irreversibilmente verso la fine.

Per Carmelo Bene l’inizio e la fine non hanno alcuna importanza. Ciò che conta sta nel mezzo, considerato come apice ed eccesso. Questo aspetto è affrontato da Gilles Deleuze nel suo saggio Un manifesto di meno, a proposito del concetto di maggiore e minore. Vedremo che verrà chiamato direttamente in causa il tema su cui è basato Nostra Signora dei Turchi: i tentativi di un uomo di diventare un cretino.

Inizio e la fine circoscrivono una tempo storico, determinato. La velocità, il movimento, il divenire stanno nel mezzo. Le rivoluzioni si pongono sempre in un punto preciso tra il passato e l’avvenire.  Gli autori maggiori appartengono al proprio tempo, ne sono interpreti e l’abbandonano solo per divenire eterni. L’autore minore è invece antistorico perché si pone appunto nel mezzo, in un tempo indeterminato capace di dialogare con tutti gli altri tempi.

Maggiori sono la dottrina, la cultura, la storia.

Di qui prende le mossa l’operazione della “minorazione” vista come il modo per “sprigionare dei divenire contro la Storia, delle vite contro la cultura, dei pensieri contro la dottrina, delle grazie o delle disgrazie contro il dogma”.

Risulta quindi un sublime gesto rivoluzionario quello di voler diventare un cretino invece di un santo.

Questo è Nostra Signora dei Turchi: un insieme di riti della minorazione.

In questo senso si comprende la lezione di San Giuseppe da Copertino, l’asino che volava.

Questo personaggio è stato fonte di molte riflessioni per Carmelo Bene e viene direttamente citato in Nostra Signora dei Turchi nel famoso monologo dei cretini:

 

[…]San Giuseppe da Copertino, guardiano di porci, si faceva le ali frequentando la propria maldestrezza e le notti, in preghiera, si guadagnava gli altari della Vergine, a bocca aperta, volando. 

 

Le estasi di questo frate “illetterato et ignorante” (nato il 17 giugno 1603 a Copertino, fra Brindisi e Otranto, in provincia di Lecce), consistevano nelle sue levitazioni, nei suoi voli durante i quali gli altri frati che tentavano di tenerlo giù, prendevano il volo anche loro per poi ricadere a terra.

Risulta spontaneo il parallelo con i voli dalla finestra dell’aspirante cretino di Nostra Signora dei Turchi. “Non era la prima volta che si buttava dalla finestra”, una battuta a cui si ride, ma che ci informa dei vani tentativi di spiccare voli estatici come faceva San Giuseppe da Copertino.

Tali tentativi di minorarsi, di raggiungere l’inettitudine devono essere considerati un atto di rivolta contro la Storia, un modo per dialogare con i minori di tutte le epoche.

I tentativi consistono in una serie di riti.


Rileggi la seconda parte (la pellicola dipinta).


Quarta parte (rito e dissacrazione).


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